Redford gioca al '68: "Condanno i terroristi ma salvo i loro ideali"

Il film racconta la storia di un ex contestatore nascosto per decenni che viene scovato da un reporter d’assalto

Redford gioca al '68: "Condanno i terroristi ma salvo i loro ideali"

nostro inviato a Venezia

«I figli ti possono cambiare la vita. Lei ha figli?», chiede Susan Sarandon, ex terrorista arrestata, a Shia LaBeouf, determinatissimo giovane reporter. «No, ho appena qualche mobile», risponde lui. Si può leggere in questo fulminante dialogo il succo di The Company You Keep, il film che Robert Redford ha tratto dall'omonimo romanzo di Neil Gordon e passato ieri fuori concorso alla Mostra. Un film classico, nel quale ci si ritrova anche per merito di ottimi attori, seppure alcuni segnati dai troppi lifting, con una trama comprensibile, che si riallaccia alla tradizione del thriller politico americano anni '70, da Tutti gli uomini del presidente a I tre giorni del condor. Anche qui c'è un giornalista che cerca lo scoop e c'è un uomo in fuga.
Siamo alla periferia di Albany, stato di New York, dove Jim Grant (Redford) vedovo con figlia dodicenne si occupa di cause di diritti civili. Ma quando viene arrestata una casalinga con l'accusa di essere stata una terrorista (Sarandon), il puntiglioso cronista del giornale locale (LaBeouf) si accorge che il brillante avvocato rifiuta di difenderla. Come mai? Non sarà anche lui implicato nelle azioni del movimento Weather Underground che negli anni '70 contestava la guerra al Vietnam con azioni terroristiche? Bingo. Quel tranquillo avvocato è un estremista radicale ricercato da trent'anni perché colpevole dell'uccisione di una guardia giurata durante la rapina ad una banca. Scatta così la doppia caccia all'uomo per tutti gli Stati Uniti: quella del giornalista e quella dell'Fbi. Quella di Grant però non è una fuga per scomparire, bensì per ritrovare Mimi Lurie (una quasi irriconoscibile Julie Christie), compagna di lotte e di vita e unica persona che lo può scagionare. Se lui già allora si era dissociato dagli estremismi del movimento, la donna è ancora convinta delle idee di allora e crede che l'America sia piena «di super super ricchi che stanno benone» da abbattere. La resa dei conti con il passato con colpo di scena finale, è decisiva per il futuro.
«Ci siamo trasformati nei nostri genitori», osserva a un certo punto il professore universitario ed ex compagno di lotte cui Grant chiede aiuto. «Siamo diventati una storia da raccontare ai nostri ragazzi», gli replica lui. In The Company You Keep il confronto tra due generazioni è continuo. «Che cosa un uomo è disposto a fare per conservare l'amore dei propri figli? È questo il cuore del film», ha spiegato Redford all'incontro con i giornalisti dopo l'accoglienza da star. E che cosa è disposto a fare un giornalista che ha «appena qualche mobile» per raggiungere la gloria? Per il suo scoop è pronto a danneggiare persone incolpevoli?
«Ogni generazione ha la possibilità di diventare guida del proprio tempo. Mi rattrista vedere che la mia sia così corrotta da non cogliere questa opportunità che poi è anche un dovere che abbiamo rispetto ai giovani di oggi, una generazione che ritengo fantastica», ha proseguito Redford. «Come ne I miserabili, anche qui c'è un uomo in fuga dal proprio passato. Un passato che, nel caso dei Weather Underground ha contemplato anche azioni sanguinose. Sì, i loro ideali erano giusti, ma non posso condividerne le azioni violente. Poi m'interessava la storia del giornalista investigatore che non molla la preda e volevo capire dove si sarebbe fermato». Il confronto con Tutti gli uomini del presidente è immediato. «Allora non c'erano internet e le nuove tecnologie che hanno moltiplicato le informazioni ma reso più difficile la rintracciare la verità perché tutte le fonti cercano di vendere la propria. Nel giornalismo degli anni '70 c'era più ricerca della verità ora c'è più ricerca della gloria».

E la politica? È lontana dalla gente, «penso alla Convention repubblicana, a tutti quei soldi spesi mentre c'è chi muore di fame: una convention infarcita di bugie». Eppure c'è chi come Clint Eastwood ci crede: «Non faccio commenti sui colleghi», ha tagliato corto.

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