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Regime e follia Il tragico destino di Ida Dalser

Regime e follia Il tragico destino di Ida Dalser

Nei regimi non è mai una bella idea incarcerare qualcuno per motivi politici: meglio incarcerare le persone facendo finta che abbiano commesso dei reati comuni. Dà meno nell'occhio e non suscita scandalo. Oppure meglio ancora farli passare per matti, rinchiuderli levando loro ogni possibilità che qualcuno creda a ciò che dicono.

Per capire quanto sia tremendo questo metodo basta guardare Il regime della follia andato in onda ieri (in replica domani alle 22.40, l'8 novembre alle 21.50, il 9 novembre alle 19.20 e poi su Sky on demand). Il documentario racconta nel dettaglio la vita di Ida Dalser e del figlio Benito Albino, che con tutta probabilità era figlio illegittimo di Benito Mussolini. Con il contributo dello storico del fascismo Mauro Canali, di Matteo Petracci (ricercatore di Storia contemporanea all'Università di Macerata specializzato nello studio sull'uso dei manicomi come mezzo di «pulizia sociale»), e di Alice Graziadei (ricercatrice studiosa della figura della Dalser presso l'Università di Bologna), il programma approfondisce il rapporto di Mussolini con le donne.

Se durante la dittatura il Duce si limitò a rapporti fugaci e «predatorii», fatta eccezione per la relazione con Claretta Petacci, nei primi anni di attività politica egli seppe sfruttare donne colte e influenti. Gli fornivano sostegno, pubblicità, denaro. Basti ricordare l'attivista russa Angelica Balabanoff, la politica futurista Leda Rafanelli, la scrittrice Margherita Sarfatti. Incappò però anche in Ida Dalser, imprenditrice proprietaria di un salone di bellezza a Milano: fu sua amante dal 1914 e molto probabilmente la madre del suo secondo figlio, Benito Albino. Il documentario ricostruisce, attraverso il fascicolo dedicato a Ida conservato a Roma presso l'Archivio di Stato, la drammatica vicenda di una donna sedotta che non si seppe dare pace, e che, mettendo pubblicamente Mussolini in difficoltà, fu alla fine «sepolta viva» nel manicomio di Pergine (Trento), dove morì nel 1937. Il piccolo Benito Albino non solo non poté mai più rivedere la madre ma fu alla fine internato nel manicomio di Mombello, vicino Milano, dove si spense nel 1942.

Fu un caso isolato? Ben 122 dei 475 antifascisti ufficialmente ricoverati con procedura d'urgenza, quindi senza nessuna, vera prova clinica, morirono in un manicomio.

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