Remmert alla guerra dei Murazzi

Lo scrittore torinese alle prese con l'immigrazione. Senza buonismi

Remmert alla guerra dei Murazzi

L' esatto contrario degli scrittori prolifici che ogni sei mesi li ritrovi in libreria. Enrico Remmert di libri ne ha pubblicati quattro in vent'anni, tutti con Marsilio, cui si possono aggiungere tre compilation con l'amico Luca Ragagnin dedicate al vino, all'amore vizioso e al fumo. Basterebbe questo per farcelo stare simpatico.

All'inizio fu Rossenotti, romanzo d'esordio uscito nel 1997, quando Enrico aveva 31 anni. Quasi Alice nel paese delle meraviglie ambientato in una Torino notturna, livida e iperrealista, la stessa scrittura tra realismo e allucinazione che ritrovavi nei quadri di Daniele Galliano. Nel panorama letterario era il tempo della narrativa generazionale, dei giovani cannibali, dei figlioletti di Tondelli, della Scuola Holden nata proprio sotto la Mole. Già, Torino che una bella mattina si svegliava accorgendosi di non essere più la Company Town italiana, che la crisi era arrivata fortissima e che per sopravvivere toccava reinventarsi daccapo. Ben prima delle Olimpiadi, Torino riscopre così la propria vocazione sperimentale e underground: scrittori e cineasti indipendenti, musicisti e artisti visivi, gente di teatro e agit-prop sono protagonisti di una stagione che a metà degli anni '90 trasforma la città più noiosa d'Italia in un luogo di energia creativa.

Tutto questo accade soprattutto di notte sulle rive del Po. Remmert parte da là, con il suo nuovo libro, La guerra dei Murazzi: quattro racconti di formati diversi, il breve Otto progetti per la costruzione di una nuvola sembra la sceneggiatura per un mini-film ispirata a uno dei tanti mestieri redditizi di Enrico, il venditore di prodotti per parrucchieri; il lungo Havana 3 a.m. ambientato nella Cuba castrista con la solita minuzia documentaristica, poetica di un autore che prima di scrivere è abituato a mappare gli scenari; il conclusivo e riuscitissimo Baal, nome di un cane assassino impossibile da addomesticare, neppure per due serbi senza scrupoli. Il primo racconto, La guerra dei Murazzi, sortisce un'inevitabile identificazione nostalgica in chi, vent'anni dopo, è stato testimone di un tempo irripetibile, a cominciare dal fatto che i Murazzi non esistono più, amministratori e politici hanno scelto di chiuderli trasferendo altrove la movida. Da quegli anni '90 i personaggi appaiono dei reduci (molti sono citati per nome e cognome) a cominciare dalla barista Manu che allora lavorava ai Muri e che, in prima persona, racconta la sua storia d'amore con Florian, immigrato albanese della prima ora, un ragazzo taciturno, improvvisamente aggressivo quando litiga con la fidanzata non esita a spiegarle: «Siete già estinti».

Perché da allora, spiega Remmert, le nostre città sono profondamente cambiate a contatto con un fenomeno divenuto negli anni impossibile da controllare, ben oltre il limite dell'allarme sociale, l'immigrazione appunto. Si tratta dell'unico scrittore italiano che non perde tempo in buonismi, evitando la commozione facile. Se 500 milioni di immigrati entrassero in Europa dove vivono 500 milioni di persone, per esempio, cosa succederebbe? E si può ancora parlare di propria identità in un continente sulla strada della sottomissione culturale violenta? Non lo afferma esplicitamente, ma la differenza esiste ed è evidente, tra gli immigrati dall'Est degli anni '90, capaci di fare qualsiasi lavoro per integrarsi nella comunità e gli africani dell'ultimo decennio.

Eppure non ci è dato scegliere e tutto avviene davvero per caso.

«In base a che regola viene gestita la logistica del mondo? In base a che regola se tu nasci in un posto sei più fortunato o meno di chi nasce in un altro posto?», osserva Remmert. E basta questo per convincerci che in fondo ci è andata bene così.

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