Con il «Requiem» Muti celebra la Grande Guerra

Con il «Requiem» Muti celebra la Grande Guerra

I gradini che salgono la collina del Sacrario militare di Redipuglia «sembrano milioni o seicentomila» quasi quanto i morti italiani nella Grande Guerra. Guido Ceronetti lo scrive in una tersa prosa inclusa nel prezioso volume che Ravenna Festival ha realizzato con saggi e testimonianze di grandi scrittori e poeti che quell'Inferno vissero in prima persona (Ungaretti, Gadda, Jünger). Per ricordare tutte le vittime della prima guerra mondiale, ricorrendo il centenario dell'inizio, non c'era luogo più adatto della collina di Redipuglia, dove quei centomila morti ripetono all'infinito una parola sola: Presente! Un grido di pietra che scende dall'impressionante monumento funebre quasi manifestando la paura dei sopravvissuti davanti all'ira dei caduti.
La scelta del maestro Riccardo Muti di eseguire in quel luogo la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi (preceduta da un'esecuzione a Ravenna e seguita da un'altra, non meno significativa, a Lubiana, in ricordo dell'amico Carlos Kleiber) è consustanziale alla natura di quel capolavoro. Nella liturgia dei morti Verdi alterna sconvolgimenti michelangioleschi (Dies Irae, Libera me) a compianti umanissimi (Oro supplex, Lacrymosa, Recordare Jesu Pie, Agnus Dei). La «sua» Messa si adatta perfettamente al suffragio di un grand'uomo come di un'apocalisse collettiva. Riccardo Muti ha voluto e saputo guidare magnificamente una falange enorme, unendo nel segno di Verdi e della Musica il quartetto dei solisti di canto a coristi e musicisti provenienti dalle regioni martirizzate dalla guerra (Trieste e Udine), uniti a colleghi di accademie e corali di area austro ungarica (Budapest, Lubiana e Zagabria).

Importante sul piano simbolico, quanto sul versante artistico, l'apporto di professori d'orchestra di grandi formazioni sinfoniche europee (Londra, Berlino, Vienna, San Pietroburgo, Bruxelles, Parigi) e americane (Chicago), innestate fra le prime parti degli archi, dei contrabbassi e degli ottoni - che hanno svettato nella colossale stereofonia del Tuba mirum. Verdi chiude la Messa in tono intimo, con invocazioni sommesse, dove la pietà degli accordi conclusivi si vela nel dubbio laico: il Sacrario degli Eroi è diventato un Cimitero di Uomini.

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