Cultura e Spettacoli

La resistenza è "credere" anche quando tutto crolla

Ilaria Rossetti si misura con la tragedia del Ponte Morandi a Genova. Poca politica, molta famiglia

La resistenza è "credere" anche quando tutto crolla

Certo è tutt'altro che semplice, oggi, uscirsene con un romanzo ispirato da un recente disastro italiano, quando adesso la paura per altre disgrazie ci assorbe in ogni minuto.

Non per una questione commerciale, di distribuzione, di librerie, di pubblico, quelle son cose che si possono anche recuperare, ma perché ogni argomento civile sembra bruciato da qualcosa di più impellente, da un male collettivo che oscura ogni sofferenza già passata.

Eppure, certi libri possono resistere alla prova e perfino aspirare a un'onda lunga di interesse, e uno di questi è Le cose da salvare, di Ilaria Rossetti (Neri Pozza, pagg. 208, euro 17).

La catastrofe da cui la giovane autrice (è poco più che trentenne) prende spunto è il crollo del ponte di Genova. Si immagina che un uomo, solo, rifiuti di lasciare un appartamento inagibile, sotto al moncone sud, in una via nominata come via dei Bastioni, ma riconoscibile come quella via Porro che le immagini mostrarono a tutto il mondo, con le file dei condomini evacuati e le case abbandonate per forza.

Quest'uomo si chiama Gabriele, è un insegnante di materie scientifiche in pensione, e non ha più famiglia. Una ragazza, Petra, lo deve intervistare per un quotidiano locale.

Al lettore è richiesta una sospensione dell'incredulità: difficile pensare che le istituzioni, nella loro neutrale pavidità, concedano a una persona il privilegio di rischiare la vita pur di aggrapparsi al valore affettivo delle loro cose.

In una condizione esistenziale di crollo imminente, un individuo deve sapersi regolare. Ci sono oggetti da lasciare indietro e altri da portare precipitosamente con sé, e il tempo per decidere è breve. Ma Gabriele ha appunto bisogno di questo: di più tempo per riflettere, tanto almeno quanto l'elaborazione di un lutto.

Ecco l'analogia con i fatti degli ultimi mesi. Siamo stati gravati dall'isolamento coatto, appesantito, per molti, da una solitudine imposta. Con la sensazione di una catastrofe invisibile in arrivo. Proprio così come era stato imprevisto il crollo del ponte, e come imprevista è la resistenza di un uomo solo, così come immaginata da Ilaria Rossetti.

La resistenza di un uomo solo non è necessariamente quella di un martire. Certo, ci vuole molta dignità per andare a fondo senza un grido, o per opporsi alla politica degli interessi spiccioli, quella di un certo Tarchioni, che sfrutta il dolore di Gabriele per interessi elettorali.

C'è più famiglia che politica, in questo libro. La famiglia disgregata e allargata della protagonista, fra rotture, malattie, perdite, ricongiungimenti. Non c'è politica neanche quando si affronta il tema collaterale dell'immigrazione (non diciamo di più per non rovinare uno snodo della trama). C'è una città di mare non nominata, ma con caratteri specifici, con un orizzonte visto in una luce ferrigna o con l'acqua del porto «che sbatteva sulla banchina, verde, filamentosa». Un mare che «galleggia», un mare «esausto».

Che cosa sono, dunque, le cose da salvare? Sono quelle grandi, come la felicità, o quelle piccole, come un soprammobile, un giocattolo, uno strumento musicale, fotografie, un volume marezzato dalla salsedine? Salviamo, di fatto, quello in cui crediamo, ma la scelta cruciale è proprio lì, nello stabilire in che cosa crediamo.

In un intrico di metafore, di riferimenti simbolici, di rimandi (compaiono perfino i versi di una canzone di Piero Ciampi, icona anarchica, forse a contrasto di una ricerca d'ordine, soprattutto affettivo), il testo è svolto con una scrittura precisa, impeccabile, sorvegliata, che si evolve in un romanzo maturo, profondamente poetico.

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