Visti così, sul divanetto di un super hotel come il Four Seasons, Martin Gore ed Andrew Fletcher non sembrano due leggendarie rockstar ma solo ricchi turisti inglesi un po' eccentrici. Invece. In trentasei anni hanno accumulato cento milioni di dischi venduti, sono i padri fondatori dell'elettropop e ogni volta che vanno in tour riempiono gli stadi in tutto il mondo. Al prossimo giro, dice uno dei promoter di Live Nation, saranno circa tre milioni e mezzo, tutti già in attesa del disco Spirit (in uscita in primavera) e pronti a comprare i biglietti per i concerti (il 25 giugno all'Olimpico di Roma, il 27 a San Siro e il 29 al Dall'Ara di Bologna). «Ma non abbiamo ancora completato neppure il disco, quindi è difficile avere un'idea esatta di come sarà il concerto», spiegano loro due che, insieme con il cantante Dave Gahan, sono il prototipo della rockstar vecchia maniera: puntuali, educati, corretti.
Oltretutto non è facile rispondere alle domande: presentano un giro di concerti dei quali si conoscono soltanto le date e un disco del quale si conosce bene solo il titolo. Più mistero di così non si può. Però quando, durante l'incontro dell'altro giorno alla Triennale con un po' di stampa europea e molti fan, hanno fatto ascoltare pochi secondi di un brano (intitolato Where's the revolution?) si è confermato ciò che era nell'aria: la vaga aderenza ai codici blues del precedente Delta Machine è già evaporata e i Depeche Mode sono ritornati chiaramente sui binari dell'elettropop più corposo. Intanto mettono le mani avanti: «La parola rivoluzione può voler dire molte cose». Come a dire: evitate i soliti titoli scontati. E poi confermano ciò che ormai è sempre più raro: «I dischi sono ancora importanti per noi, quindi ne vogliamo parlare più avanti». La musica innanzitutto. Dopotutto la musica è il loro vero marchio di fabbrica, stentoreo e squadrato come da lezione dei Kraftwerk ma pure legato alle melodie tipicamente new wave. «All'inizio della nostra carriera eravamo sostanzialmente una delle prime band a portare in giro l'elettronica ed era divertente far capire al pubblico che l'elettronica poteva essere divertente», spiega Andrew Fletcher detto Fletch per qualche milione di amici, alcuni dei quali lo aspettano fuori dall'hotel sotto la pioggerella milanese.
Adesso che sono una delle più colossali macchine del pop mondiale devono fare i conti con la convivenza forzata. Le band, dopotutto, sono come matrimoni: alla lunga devono cercare nuovi equilibri per non scoppiare. E così, dopo tour mondiali lunghi quasi due anni, è giusto prendersi una vacanza. Difatti loro tre vivono in parti diverse del mondo e si guardano bene dal frequentarsi fuori dal lavoro. «Fa sicuramente bene non vedersi e sentirsi, e comunque ormai viviamo tutti così lontani. A un certo punto - spiega Martin - io ricomincio a scrivere canzoni, e anche Dave scrive qualcosa. Poi quando sentiamo di avere abbastanza materiale, fissiamo un meeting con il nostro manager Daniel Miller».
E lì nasce il nuovo progetto, immancabilmente destinato a occupare i primi posti delle classifiche in tutto il mondo. Un processo inalterato da tre decenni. Nonostante l'esplosione dei social network e la conseguente mutazione del pubblico: «Sui social in realtà siamo molto pigri», minimizzano loro. In fondo, sono pionieri. E punti di riferimento.
Ad esempio, molti brani di edm, la electronic dance music di Guetta, Skrillex e altri, denunciano l'influenza dei Depeche Mode. «I deejay riempiono gli stadi. Ma considerarli come le nuove rockstar mi sembra un tantino azzardato», dice Fletch. E, diciamola tutta, ha solo ragione.
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