Cultura e Spettacoli

"Rigore, misura, eleganza. Così era (se vi pare) il teatro per De Lullo"

Cento anni fa nasceva il grande regista. Così lo ricorda il suo scenografo e amico

Roma. «Fra le tante foto che ho di lui ce n'è una che tengo sempre con me. Avrà nove, dieci anni. Bello e insolente, come un giovane principe. Già consapevole del suo potere di seduzione; sa già quello che vuole. E lo avrà». Oggi Giorgio De Lullo, «giovane principe» della regia teatrale italiana e - con Visconti, Strehler e Ronconi - uno dei più influenti del nostro Novecento, compirebbe cento anni. Con l'ammirata tenerezza dell'amico di una vita lo ricorda Pier Luigi Pizzi, regista di fama mondiale, per vent'anni scenografo di quella Compagnia dei Giovani che De Lullo rese la più prestigiosa compagine privata d'Italia.

Eppure, già giovane e affascinante attore, De Lullo arrivò alla regia soltanto per caso.

«La compagnia - appena formata con Rossella Falk, Romolo Valli, Elsa Albani e Annamaria Guarnieri: i futuri, celebri Giovani- aveva avuto un debutto infelice. Il salvataggio avvenne con Gigi di Colette: lì c'erano ruoli perfetti per tutti, tranne che per lui. E c'erano pochi soldi. Così Valli propose Perché non fai tu la regia?. Lui accettò la sfida e la vinse. E nessuno ebbe alcun dubbio: era nato un grande regista».

E di vent'anni di spettacoli, tra cui successi epocali come Sei personaggi in cerca d'autore, Il giuoco delle parti, Metti, una sera a cena, Il malato immaginario, lei curò tutte le memorabili scenografie. Ma cosa trasformò De Lullo da giovane attore di successo in indiscusso maestro della regia?

«Il rigore, la misura, l'eleganza. E l'attenzione assoluta alla parola. Ogni parola doveva avere il suo esatto significato, senza compiacimenti né birignao. Celebri le interminabili prove a tavolino in cui si sviscerava ogni singola battuta. Per D'amore si muore assistetti al trauma inferto alla povera Elsa Albani, costretta per ore a ripetere la stessa frase, E tu chi sei, carino?: solo cinque parole con cui, però, doveva esprimere sorpresa, curiosità, compiacimento, seduzione. Alla fine era distrutta, ma ce l'aveva fatta. E Giorgio rassicurato nel suo perfezionismo».

E cosa rese la Compagnia dei Giovani la più longeva, la più smagliante, la più ammirata di tutte?

«ll gioco di squadra. In scena nessuno era protagonista a scapito degli altri; tutti partecipavano alla creazione comune (io assistevo a tutte le prove) assorbendone lo spirito, creando complicità. Soprattutto eravamo amici - amici veri, leali - anche fuori scena: spesso facevamo le vacanze assieme, a Capri nella villa di Giorgio o al mare da me, a Tor San Lorenzo. Ci fu anche un viaggio memorabile nei luoghi della Recherche di Marcel Proust, che tanto amavamo. Non è un caso, se il nostro sodalizio è durato più di vent'anni».

Qualcuno vi accusava di essere mondani, perfino snob. I vostri spettacoli erano troppo belli, troppo perfetti.

«Il successo ci aveva proiettati al centro di un turbine d'attenzioni. Ci volevano tutti: dal generone romano all'aristocrazia internazionale. Donna Vittoria Leone veniva sempre all'Eliseo col figlio Giancarlo, e poi c'invitava a cena al Quirinale. Il Presidente Napolitano era un habitué. Snob non mi sembra; amanti della bellezza, semmai. E qui il primo accusato ero proprio io. La bellezza desta sospetti: si suppone nasconda vacuo estetismo. Per me, invece, la ricerca estetica, la perfezione formale è stile. E il nostro stile era molto copiato. Quando vidi le mie scene post-cubiste per Il giuoco delle parti citate in uno spettacolo di Adriana Asti, le dissi Però: rifarle in quel modo. E lei, con la sua acutezza: È solo un omaggio!».

Le regie pirandelliane di De Lullo hanno fatto storia, ponendo una pietra di paragone imprescindibile.

«Prima Pirandello si faceva in modo generalmente convenzionale. Con Giorgio ne abbiamo rivelato la modernità, l'universalità. Nella tournée in Russia dei Sei personaggi il critico della Pravda credeva che il testo fosse stato appena scritto. Giorgio faceva recitare i suoi attori con uno stile inconfondibile, quasi musicale. Con lui non si recita - diceva la Guarnieri - si solfeggia. La registrazione del mitico Così è (se vi pare), dove c'erano anche la Morelli e Stoppa, è una vera partitura, a tutt'oggi di fortissima emozione».

Fondamentale per l'arte di De Lullo fu il suo sodalizio, di vita e di scena, con Romolo Valli.

«Un'intesa perfetta. Romolo concreto, razionale: proprio un raisonneur pirandelliano. Ma anche allegro, generoso: un bon vivant che amava la vita, il buon cibo. Poteva intrattenere i commensali per ore tra mille aneddoti e imitazioni irresistibili. Piaceva a tutti. Giorgio invece era introverso, silenzioso, solitario, tendeva all'astrazione. Forse risentiva del trauma del suicidio del padre, che davanti a lui bambino si gettò dalle scale. Romolo faceva le burlette, cioè gli scherzi in scena, che invece mandavano in bestia Giorgio. Memorabile l'irruzione di Marcello Mastroianni durante una recita, travestito e su sedia a rotelle. Romolo resse il gioco per un quarto d'ora, il pubblico non si accorse di nulla. Mentre Giorgio era su tutte le furie».

Fu l'amica di sempre, Rossella Falk, a incrinare il magico equilibrio. Quando il teatro Eliseo diretto da De Lullo e Valli fu in difficoltà economiche, lei ne acquistò le azioni e quindi il controllo, ma a loro insaputa.

«Rossella ebbe la maldestra arroganza tipica della donna molto ricca, che può permettersi qualsiasi gesto. E Giorgio la visse come una coltellata alla schiena: il tradimento di un'amicizia. Volarono parole grosse; fu tutto troppo emotivo. Romolo avrebbe potuto ricucire, ma non fece in tempo: durante le repliche di Prima del silenzio - titolo profetico - ebbe quel tragico incidente d'auto. E fu la fine di un'irripetibile avventura».

La fine anche per De Lullo.

«Nessuno può immaginare quanto soffrì. Si ritirò nel convento dell'isola di San Francesco del Deserto, nella laguna veneta. Lo riportammo al lavoro, ma lui non voleva più vivere. Il tracollo arrivò improvviso, d'estate, in una Roma deserta, tra pochi amici fedeli.

Era sopravvissuto a Romolo solo un anno e mezzo».

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