Rinascita apocalittica. Opera a tinte fosche per la "Prima". Tutto il teatro in piedi, celebra Mattarella

Saluto commovente al presidente. Dodici minuti di applausi per interpreti e orchestra, fischi per il regista Livermore. Il "rito" del 7 dicembre è ripartito con le stimmate della pandemia, tra mascherine e sobrietà

Rinascita apocalittica. Opera a tinte fosche per la "Prima". Tutto il teatro in piedi, celebra Mattarella

Mai una rinascita, come quella della Prima alla Scala dopo le chiusure della pandemia, ha profumato così tanto di morte. Il Macbeth racconta di immondi omicidi, una storia di vendette e rimorsi, di «larve e terror», di follia, di assassinii, «Una macchia è qui tuttora Chi poteva in quel vegliardo/ Tanto sangue immaginar?».

Chi poteva immaginare che una tragedia come Macbeth potesse strappare passioni e applausi (alla fine sarà una standing ovation di 12 minuti) come fosse uno scampato pericolo, un ritorno alla vita, alla quotidianità, ai vecchi riti?

Il rito si è di nuovo compiuto. Teatro alla Scala, riecco il ritorno della «Prima» dopo lo show da divano dello scorso anno. Torna l'attesissimo 7 dicembre, così milanese e così nazionale: va in scena il Macbeth di Giuseppe Verdi diretto dal maestro Riccardo Chailly (eccellente), regia di Davide Livermore (una sfilza di «buuuu» per lui alla fine) e un cast collaudato di stelle, da Anna Netrebko, la Lady, primissimadonna, e Luca Salsi, Macbetto, intenso.

Grande soirée e super green pass. Il teatro è completo, smoking e mascherine. Fuori è come era sempre stato, prima: i manifestanti Cub e gli antagonisti del Cantiere protestano contro il governo e la manovra: «Tax the Rich». E dentro ci sono i ricchi e un pezzo di governo. A parte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - salutato dal pubblico in sala con cinque minuti d'applausi e un coro di «bis», ovviamente per un altro settennato, e poi il ministro della Cultura Franceschini (in smoking), quello dell'Istruzione Bianchi (in cravatta), la Casellati, il governatore, fino, sempre più giù, al sindaco di Milano e al nuovo giovane assessore alla Cultura. Il potere è un ascensore: si sale e si scende.

Ed è il potere, con la grande metafora dell'enorme ascensore che sale e scende in mezzo al palco per tutta l'opera, che muove la tragedia scespiriana riscritta da Francesco Maria Piave per Giuseppe Verdi. Nella Scozia dell'XI secolo il valoroso nobile Macbeth, assetato di potere e influenzato dalle parole della moglie, l'ambiziosa e ferina Lady Macbeth, sceglie di assassinare il suo Re e prendersi il trono. Ha così inizio una serie di sanguinosi eventi che porterà la coppia diabolica alla inevitabile disfatta. Un favola nera, rosso sangue.

Forse il modo migliore per riassumere l'opera lo ha trovato la signora accanto a noi, che prima dell'Inno chiama l'amica al cellulare: «Hai letto la trama? L'altra volta - ma a quale prima si riferisce?, ndr - non era morto nessuno, qui invece...». Su il sipario.

Il sipario si alza su un'auto in mezzo alla brughiera che punta i fari contro la platea. Macbeth e Banco, il suo coraggioso compagno (solo per un atto, poi lo ammazzerà) sono di ritorno da una battaglia vittoriosa. Cadaveri dappertutto, un corpo viene sbattuto giù dal cofano per poter ripartire I due hanno spade e cappotti, il coro spolverini e cravatte, la Scozia medievale è una megalopoli distopica popolata da grattacieli delle grandi multinazionali, santuari postmoderni della ricchezza e del dominio - anche qui la città che sale e la città che scende, tra futurismo e futuribile: è New York? è Chicago? è City Life? - e il castello dei Macbeth è un super attico disegnato da un graphic designer che ha visto qualche progetto di Piero Portaluppi, e chissà cosa ne pensa Stefano Boeri, qui in platea. Intanto, alla fine del primo atto dal loggione cala un sonoro: «Hanno rovinato Macbeth!». E in effetti alla fine se la parte musicale è piaciuta molto, diciamo che il giudizio su regia e allestimento è più divisivo

Divisa in due blocchi da due atti ciascuno - per dare tempo al pubblico di sciamare nel foyer, e va detto che quest'anno le mise sono in tono con il clima sociale: molto più sobrie, meno chiassose - l'opera in scena è fosca, cruenta, i personaggi ambigui e immersi in un'atmosfera apocalittica, scoppi e incendi, i cieli cupi e rossastri. Il sangue è il simbolo viscido della vicenda. Brama di potere e sensi di colpa, senza che la prima sappia soffocare i secondi e i secondi placare la prima.

Il Macbeth scespiriano è l'archetipo del desiderio di potere sfrenato e anche una riflessione sul destino, l'azione e la volontà. Al centro, lei: Lady Macbeth, tra fantasmagorie e sonnambulismi, è la personificazione del Male, ambiziosa, né femminile né tanto meno femminista, per una volta. È una donna.

Anna Netrebko è una regina immensa e cinica, tailleur alta moda oligarca, tacchi e mostrine. Eccessi, deliri, sesso (in ascensore, velocemente, fine terzo atto) e follia omicida. Lady Macbeth come Lady Gaga e il loft dei Macbeth come House of Gucci? Assassine, ma fashion.

Cose notevoli, in senso positivo o negativo, della «Prima». Ritrovarsi facendo finta che sia tutto normale: selfie, eleganza e la meraviglia di una serata unica. Reincontrare dal vivo i vip: Manuel Agnelli accanto a Cattelan, ma non Alessandro, Maurizio; o Liliana Segre, o Placido Domingo... E vederne così tanti in Armani, più dei rami della foresta di Birnam. Sentire Roberto Burioni nel ridotto che tiene un'altra lezione sul virus. Un certo trionfo del kitsch in scena: fra i tanti oggetti spunta anche la statua, una pantera che sembra di Rembrandt Bugatti.

Il sospetto che per certi versi il Macbeth di Livermore pensato per la tv si goda meglio da casa sul piccolo schermo che qui, in grande, alla Scala.

E il capire che la vera tragedia è la natura malvagia dell'uomo. Per la quale, purtroppo, non c'è vaccino.

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