Ritorna la band di culto «La rabbia non ha età è questione di Decibel»

Enrico Ruggeri riunisce il gruppo che cambiò lo spirito della canzone italiana. E lancia cd e tour

Ritorna la band di culto «La rabbia non ha età è questione di Decibel»

L'atmosfera è la stessa. I volti anche, ci sono soltanto un po' di rughe in più. I Decibel ritornano quarant'anni dopo esser nati e aver portato la parola punk nel vocabolario italiano. «Ma non è una bieca operazione commerciale, è un disco fatto per noi», spiega Enrico Ruggeri di fianco al riservato Silvio Capeccia e al sorridente Muzio.

Dal liceo Berchet di Milano, quando ascoltavano allibiti le tiritere degli Inti Illimani, ciascuno di loro ha seguito la propria strada. Ruggeri è Ruggeri. Silvio è diventato imprenditore di successo. Fulvio è medico con passione («integralista», precisa scherzando Ruggeri) per i regimi dietetici. Insieme hanno registrato undici canzoni nuove, ci hanno aggiunto i due successi della band (Contessa e Vivo da re) ed ecco Noblesse oblige, un disco che è di nicchia solo per finta. «Nicchia un ca...», ha commentato il presidente della Sony Andrea Rosi che, alla luce dei risultati, di musica se ne intende).

In effetti, già dal primo singolo My my generation, che è in alta rotazione sui network radiofonici di soliti abituati a ben altri suoni, si capisce perché in Italia, piaccia oppure no, c'è stato un prima e un dopo Decibel. Loro, liceali milanesi, tra il 1977 e il 1980 hanno mescolato le carte, scuotendo il rock italiano adagiato nei meandri compiaciuti del prog, e preso a sberle un pop manieristico e melodrammatico. «Quando siamo arrivati al Festival di Sanremo con Contessa, eravamo in gara con Collage, Pupo, Toto Cutugno e La bottega dell'arte», ricorda Ruggeri che è tornato punk anche nell'aspetto magrissimo. Fu uno choc, diciamolo. Non a caso Contessa è un super cult della canzone d'autore italiana, qui riregistrata in una versione fedele all'originale. «In tutto l'album a suonare sono soltanto gli strumenti, non il campionatore». «Se avessimo voluto sfruttare l'operazione nostalgia, ci saremmo ripresentati facendo finta di essere come allora», dice lui. Lo spirito punk, in fondo, non invecchia. Ma chi è punk oggi? «Forse Trump lo è», rispondono loro tre pensando a qualcuno che, per scelta o furore, sovverta l'ordine costituito. Ma niente endorsement, per carità. Il punk è anarchico e rifiuta il «band wagoning» proprio come Noblesse oblige, che è un disco senza polvere e senza autocelebrazioni. Con musica sincera, che paga l'inevitabile pegno ai modelli di allora (citati per chiarezza in My my generation, da Ramones a Stranglers). E con testi ragionati e creativi che da L'ultima donna («Quello che conta è chi chiuderà il sipario») a Fashion («Viaggia dentro ai siti tra borse e tra vestiti, è un'era così fashion») danno un accento diverso ad argomenti spesso incellofanati in modo standard dal nostro pop. Qui Ruggeri s'infiamma: «Oggi i testi sono scritti in gran parte da analfabeti funzionali».

In sostanza, in questi tredici brani, c'è soprattutto la capacità di stare fuori dagli schemi in un'epoca nella quale gli schemi comunicativi e musicali sono addirittura più rigidi e stereotipati di quanto lo fossero ai tempi del Berchet.

Perciò non ha senso giudicare se questo disco sia bello o brutto perché è semplicemente decisivo per chi allora c'era già e per chi è arrivato dopo. «La nostra è una generazione che faceva musica per piacere. Oggi basta investire tremila euro e vai in classifica».

Poi però bisogna rimanerci. Ruggeri lo ha fatto a modo proprio. Capeccia e Muzio anche: hanno continuato a suonare per piacere, spaziando dalla ambient alla psicoacustica fino a ritrovarsi tutti e tre, in un pomeriggio di quarant'anni dopo, a presentare un disco più punk nello spirito che nei suoni, che pure sono essenziali e mai nostalgici (li ascolteremo dal vivo nei club dal 17 marzo a Castelleone tra Cremona e Milano).

Dopotutto, se è vero che noblesse oblige, allora sarebbe stato fin troppo «cheap»

che tre sessantenni si agghindassero come quarant'anni fa per schitarrare sperando ancora che God save the queen come i Sex Pistols nel 1977. Quel tempo è finito. Ma quello spirito no. E ricordarselo ogni tanto non guasta.

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