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Il ritorno del mitico Borat. Ora mette nel mirino i social e Rudy Giuliani

Su Amazon Prime il sequel del film del 2006. Risate (amare) sull'intolleranza in Rete

Il ritorno del mitico Borat. Ora mette nel mirino i social e Rudy Giuliani

È il momento di Sacha Baron Cohen. Due film, sulle due maggiori piattaforme di streaming, vedono protagonista il comico inglese. Sono Borat 2, sequel di Borat (Amazon Prime Video) e Il processo ai Chicago 7 (Netflix).

Quarantanove anni, ebreo osservante, attivista della Anti-Defamation League, sposato con l'attrice Isla Fisher, Cohen è molto diverso dai suoi personaggi e così schivo da rasentare la timidezza patologica. La sua arte poi è da sempre legata alla denuncia dell'antisemitismo e di ogni altro genere di razzismo, misoginia e omofobia, attraverso la potente arma della provocazione, compiuta per mezzo dei suoi personaggi: il rapper Ali G, il modello gay Bruno e soprattutto Borat, da lui stesso definito «il primo giornalista di fake news», reporter kazako in viaggio per l'America, che lo fece conoscere al mondo 14 anni fa.

Il sequel di Borat - Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan ha un titolo non meno lungo e altrettanto sarcastico: Borat - Seguito di film-cinema. Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan e anche questa volta non risparmia il pubblico dalle provocazioni, incursioni e irriverenze che fecero il successo del film del 2006. Questa volta Borat farà irruzione, nei panni di Donald Trump, a una convention del vicepresidente Mike Pence, e tenderà una trappola all'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, filmato in una stanza d'albergo insieme a una finta giornalista. Le immagini ritraggono Giuliani con le mani nei pantaloni ma il collaboratore di Trump spiega in un Tweet di essere stato vittima di una montatura: «Mi stavo aggiustando la camicia nei pantaloni dopo aver rimosso il microfono», scrive.

Cohen ammette che Borat oggi ha gioco più facile. «Allora erano necessari sotterfugi per far uscire il peggio dai miei ignari interlocutori, oggi no. Ora razzisti, misogini e antisemiti non hanno remore ed esprimono senza preoccupazioni di sorta il loro pensiero». A cosa si deve questo sdoganamento? Per Cohen la responsabilità è soprattutto dei social network, nei confronti dei quali da tempo conduce una battaglia aspra, culminata lo scorso anno in un pesante atto d'accusa nel corso di un incontro alla Anti-Defamation League: «Se ci fosse stato Facebook negli anni Trenta, sono certo che Hitler avrebbe postato brevi video su come attuare la sua soluzione finale. Oggi la demagogia è alla portata di tutti, le teorie complottiste, che una volta erano confinate in ambienti ai margini, ora sono sdoganate e popolari. È come se l'era della ragione fosse stata delegittimata con la complicità di un manipolo di società di internet che sono a capo della più grande macchina propagandistica mai esistita nella storia. Facebook, Youtube, Google, Twitter e altri raggiungono miliardi di persone. Gli algoritmi che le muovono deliberatamente propongono contenuti che tengono chi li usa incollato allo schermo. Storie che toccano i nostri istinti più bassi, e oltraggiano e spaventano».

Facebook viene lanciato nel 2004, l'anno dopo viene girato Borat, personaggio che dunque nasce insieme al fenomeno social network. Borat è la rappresentazione umana delle distorsioni del sistema. Le provocazioni di Borat sono simili alle tante che si leggono sui canali social, le sue posizioni uguali a quelle nelle bacheche di molti. Secondo Cohen però non si possono paragonare le colpe di chi con i social network ha creato un impero economico e quelle di chi certe posizioni le posta sulla propria pagina. «Mentre giravo Borat 2 - spiega - è sopraggiunta la pandemia. Mi sono così ritrovato a vivere per cinque giorni nella casa di una famiglia negazionista e ho constatato una cosa: erano brave persone nutrite di bugie. La responsabilità delle distorsioni che viviamo oggi sono di chi, per interesse economico, favorisce la diffusione di queste bugie». Insomma, il mondo di oggi non ha fatto grandi progressi da quello raccontato nel secondo film che vede protagonista il comico britannico, visibile su Netflix.

Il processo ai Chicago 7 racconta invece un fatto vero, accaduto negli anni '70, quando sette attivisti a capo delle proteste contro la guerra in Vietnam, avvenute durante la convention democratica del 1968, vennero sottoposti a un processo parziale poi invalidato in sede di appello. Allora a Chicago la polizia e gli attivisti giunsero a scontri violenti che si conclusero con 600 arresti e un bilancio di più di mille feriti, circostanze spaventosamente simili a quelle dell'America contemporanea dove da mesi si assiste a scontri nelle strade delle grandi città.

Si può invertire la tendenza, rendere le ideologie meno polarizzate e divisive? Per Sacha Baron Cohen è possibile, ma bisogna agire su chi ha tratto guadagno dall'odio e dalla polarizzazione.

Per questo l'attore è parte attiva nella campagna «Stop Hate for Profit» che tenta di contrastare gli aspetti più funesti del fenomeno social network.

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