La prima polemica era nata per "Dopo la battaglia" di Yoursry Nasrallah, dedicato alla "rivoluzione incompiuta egiziana. Il film parla proprio di un giornalista israeliano che chiede se la pellicola sarà proiettata anche in Israele e la risposta viene subito e con tono asciutto e un po' impertinenti viene risposto: "No. Fino a quando gli israeliani non tratteranno meglio i palestinesi nei torritori occupati!". C'è chi applaude e chi sta in silenzio. Masrallah blocca il tutto sul nascere: "Che senso ha applaudire? Non ce l'ho con Israele, ho amici anche israeliani e gitani, ma se il mio popolo ha cercato di rivedere alcune posizioni politiche e sociali, questo non mi sembra che accadda per Israele....".
L'anno scorso, Lars von Trier, coniugò in modo surreale la vita di Hitler e il nazismo con la propria e quella della sua anzione. Oggi, Nasrallah, una laurea in scienze politiche e in economia, nonchè giornalista, assistente di Yossef Chanine, suo è il documentario "A' propos des garcons, de filles et du voile" di 15 anni fa e del 2009 "Femme du Caire", a dimostrazione che quella dei territori occupati resta sempre una ferita aperta che divide anche la società israeliana. Ma tornando al film, non si può dire che la generosa battaglia portata avanti dal regista abbia avuto un grande successo, nonostante se ne parli molto qui. Si tratta di una storia sul campo, una storia di amore e di lotta. Al centro Mohomoud, uno dei "Cavalieri di piazza Tahrir" che il 2 febbraio dell'anno scorso, il presidente Mubarak mandò a caricare, con tanto di cavalli e frustini i manifestanti. Non possiamo di certo parlare di una carica epica, ma di una carica di "morti di fame", uomini e animali, con tanto di cecchini in campo dove scorse tanto sangue.
Mohomoud vedrà venir meno il suo status, la sua famiglia, il suo lavoro, e l'incontro con Reem, rappresentante ufficiale dell'Egitto colto, moderno e laico, non risolverà i suoi problemi.... Di ben altra portata, più interiore, è l'altro film in concorso, "Rust an Bone", ossia "Ruggine e Ossa" tratto dal libro dello scrittore Craig Davidson, un libro di racconti eccellenti: in uno c'è il racconto di uno che fa box e ha le mani fratturate e in un altro, quello di un istruttore e domatore di orche marine che perde le gambe a causa del suo amato cetaceo.
Il regista Jacques Audiard ha messo insieme i due personaggi e cambiato sesso al secondo, mettendo a confronto un uomo e una donna. Il risultato è stato "De ruille et d'os" che ha sancito l'entrata in gara della cinematografia francese e messo sul piedistallo l'attrice Marion Cotillard (la domatrice amputata, Stephanie); storie strazianti che hanno visto Matthias Schonaerts, Ali, nelle sembianze di una sorta di bestia umana e contemporaneamente fragile e a tratti sensibile. In sostanza l'autore celebra due solitudini diverse, destinate a incontrarsi o scontrarsi. Lei lei è una domatrice altera ma dal carattere scostante, irascibile, abituata ad essere obbedita e conscia di avere un certo fascino. La parola obbedita non è rivolta solo agli uomini ma anche ai suoi animali marini che volteggiano con lei seguendo i suoi ordini anche nell'acquario di Antibes e rappresentano la parte più tangibilee e mostruosa del potere. Lui è un pugile che non lotta più, con un figlio di cinque anni che ignora completamente e così pure la madre. L'unica cosa che ha saputo fare nella vita e battersi e poi battersi. La sua vita è alla deriva non prova non prova più nemmeno sentimenti. A un certo punto conosce la ragazza, il suo handicap non lo blocca, è un qualche cosa che va superato con l'istinto come ha sempre fatto. La sua forza è al suo servizio per aiutarla. E l'atto sessuale è una cosa di cui lei ha bisogno. I due si trovano.
Una sirena a cui è stata mozzata la coda è un qualche cosa che viene messo in evidenza sotto tutti gli aspetti, ma anche la gioia di vivere grazie all'amore, ma anche questo non diventa un melò. Il rifiuto del pubblico non avviene perchè tutto scorre all'insegna della "normalità". Semmai il film racconta la storia di una educazione sentimentale che si evolve attraverso le barriere che la protagonista alza o abbassa a seconda dei suoi stati d'animo, consce o inconsce che siano nei confronti della vita e quindi anche delle persone.
"Il problema che mi sono posto -racconta Jacques Audiard- è stato quanto tempo ci avrebbe messo lo spettatore ad accettare il personaggio di Marion una volta avvenuta la menomazione fisica. Non mi interessava dare giudizi morali nè sfruttare realtà di sofferenza, ho semplicemente fatto un film sulla difficoltà di esprimere i propri sentimenti in un mondo in cui è sempre più difficile parlare, comunicare".
La scena in cui la bella Marion Cotillard si issa sulle sue protesi artificiali e si affaccia sulla finestra o terrazza
dell'ospedale e ripete per l'ultima volta i gesti dolci e sinuosi che era solita fare quando impeneva il suo domanio agli abitanti del mare, resta fissata negli occhi degli spettatori per molto tempo. Un film certamente riuscito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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