Che festival quei festival. Dagli Stati Uniti (ad esempio il Coachella) fino alla Gran Bretagna (vedi Glastonbury, ora in pausa) i grandi raduni musicali sono parte della cultura e persino delle vacanze di una enorme quantità di appassionati. In Italia meno, lo spirito è sempre stato più vicino a quello della rassegna oppure dell'evento singolo, seppure gigantesco ed eccitante come i Rolling Stones l'anno scorso a Lucca.
Ma adesso ci sono segnali di controtendenza.
Lo dimostra il Firenze Rocks che parte oggi all'Ippodromo del Visarno. Quattro giorni, quattro headliners per sera con tanti gruppi di supporto. Iniziano i Foo Fighters di Dave Grohl dopo i The Kills, i Wolf Alice e i taglienti Frank Carter & The Rattlesnakes. Poi domani i Guns N'Roses di Axl e Slash che stanno battendo tanti record di incasso nel mondo, con un altro battaglione di rockettari come i variopinti Baroness. Sabato tocca agli Iron Maiden, tanto sottovalutati dalla critica negli anni '80 ma oggi ancora capaci di raccogliere circa quarantamila paganti (prima di loro Helloween, il frontman dei Korn Jonathan Davis e Shinedown). Infine domenica il Madman, ossia Ozzy Osbourne, che alla vigilia dei 70 anni (li compirà il 3 dicembre) sta facendo l'ultimo tour di una carriera tempestata di successi, e soprattutto eccessi, come poche altre (e prima di lui sul palco arrivano Avenged Sevenfold, Judas Priest e la band del chitarrista Mark Tremonti). Totale biglietti venduti, finora: duecentomila. Tantissimi, obiettivamente. «Firenze Rocks è un festival rock e per me il rock non è soltanto hard o metal ma anche pop rock, non siamo legati soltanto a un genere», spiega Roberto De Luca, numero uno di Live Nation, mente storica di eventi come l'Heineken Jammin' Festival che, prima a Imola e poi a Mestre, ha raccolto platee sterminate grazie a Vasco, Red Hot Chili Peppers o Metallica. Poi per tutta l'estate ci saranno altri festival in giro per l'Italia, da Parma a Lamezia, Pistoia, Roma fino al Milano Rocks di settembre con gli Imagine Dragons, The National, Franz Ferdinand, Mike Shinoda e i Thirty Seconds to Mars di Jared Leto, giusto per citarne qualcuno. A differenza dell'evento singolo che copre lo spazio di una serata, ogni festival dura anche dodici ore al giorno, e all'estero diventa un appuntamento da segnare di anno in anno sul calendario. Nel mondo anglosassone è un'abitudine consolidata (e invidiata). In Italia molto meno. «Ma forse l'aria è cambiata, me ne sono accorto proprio a Firenze», dice De Luca. Non a caso, sono andati esauriti i biglietti «complessivi» per i quattro giorni di concerti, un segnale importante: «Forse il prossimo anno allestiremo anche un campeggio all'interno dell'area concerti».
Però, al di là dei cartelloni o dell'entusiasmo per i singoli artisti, i festival musicali creano «indotto», come si dice. Dove c'è un concerto, aumentano non soltanto i «visitatori» ma pure gli incassi e i posti di lavoro, anche se temporanei. De Luca non si sbilancia in dettagli, ma cita una ricerca secondo la quale un concerto da 40mila spettatori crea un indotto da 9 milioni di euro. Alberghi. Ristoranti. Trasporti. Acquisti. Ovviamente non è una regola matematica, ma è quantomeno indicativa. E comunque meriterebbe l'attenzione di quelle (tante) amministrazioni pubbliche che nel corso dei decenni hanno sempre respinto queste opportunità manco fossero la peste.
In ogni caso, oggi forse i festival potrebbero rivelarsi anche qui da noi l'antidoto alla «solitudine dell'ascoltatore», sempre più isolato grazie a cuffie e device vari. Dopotutto, nell'epoca della condivisione, c'è qualcosa di più condivisibile delle emozioni di dodici ore di musica dal vivo?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.