"Rocky non s'arrende e torna a bordo ring, vorrei essere come lui"

L'attore nei panni del mitico boxeur in "Creed II": "È sempre bello interpretarlo"

"Rocky non s'arrende e torna a bordo ring, vorrei essere come lui"
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Sul set dell'ottavo episodio della saga, Creed II, in un grosso capannone alla periferia nord della capitale della Pennsylvania, c'è un clima festoso. Oltre 1000 comparse accalcano gli spalti di due distinti ring allestiti negli angoli opposti. Da una parte è rappresentata l'America, dall'altra è stato ricostruito un ring russo. I colori sono quelli della propaganda dei tempi della guerra fredda: blu bianco e rosso e ben illuminato l'angolo USA, grigio-verde, un po' triste, quello post-sovietico.

Sylvester Stallone non avrebbe dovuto esserci il giorno in cui siamo stati invitati sul set. Invece c'era, con il cappello di Rocky calcato all'indietro e il cardigan aperto su uno stomaco un po' prominente, da ex atleta. C'era e aveva voglia di parlare del suo amato Rocky: «La mia storia e quella di Ivan Drago, che tutti pensavano morta e sepolta, ritorna in vita».

Creed II, che uscirà il 24 gennaio diretto da Steven Caple Jr., infatti racconta dell'incontro fra Adonis Creed, figlio di Apollo, interpretato ancora una volta da Michael B Jordan, e Viktor Drago, figlio di Ivan che ha il volto e il fisico possente dell'attore e lottatore tedesco Florian Munteanu. «La rivalità fra Rocky e Ivan Drago è stata ereditata da Viktor e dal pupillo di Rocky, Adonis Creed».

Nemesi storica?

«In un certo qual modo. I due ragazzi, anche se non hanno nulla di personale l'uno contro l'altro, sentono di dover riscattare i padri, combattono per vendetta. C'è qualcosa di shakespeariano in questa storia».

Rocky filosofo.

«A suo modo lo è sempre stato, ora ancora di più. Immagino che sia una conseguenza del fatto che nel film precedente ha affrontato la malattia, guardato in faccia la morte».

E' vero che non voleva far ammalare Rocky in Creed?

«E' vero. Vederlo ammalato proprio non mi andava. Mia moglie mi ha detto: sei un codardo».

S'immedesima ancora così tanto in lui?

«Rocky è chi avrei voluto essere. Lui non ha mai una parola fuori posto, mai un atteggiamento sbagliato, mai una resa. La mia vita non è stata proprio così. Rocky rappresenta il mondo come lo conosco e come avrei voluto essere. E' per questo che è sempre un'emozione interpretarlo, anche dopo 42 anni».

Non c'è altro personaggio cinematografico interpretato dallo stesso attore per tanto tempo.

«Il fatto è che avevo bisogno di molta pratica prima di centrarlo. Ora l'ho fatto, ora finalmente Rocky è completo, ora che il suo mondo non esiste più e lui è completamente solo. C'è una buona dose di nostalgia in tutto questo».

A proposito di nostalgia. Parliamo del ritorno di Ivan Drago.

«Rocky non lo vuole incontrare e soprattutto non vuole quell'incontro di boxe fra il figlio di Apollo Creed e il figlio di Ivan Drago, che uccise Creed. Teme che la storia si ripeta, sente la responsabilità di quel ragazzo che gli è stato affidato, teme l'avverarsi del suo peggior incubo».

È sempre così cattivo Ivan Drago?

«È pieno di sogni irrealizzati, incolpa Rocky per questo suo stato e instilla il suo odio nel figlio Viktor».

«Io ti spiezzo in due» è una frase che ormai fa parte del linguaggio cinematografico, ci sarà in questo film?

«Qualcosa di simile, sì. Ci sono molti riferimenti a Rocky IV, ovviamente. Il pubblico più maturo si divertirà».

Come è stato incontrare di nuovo Dolph Lundgreen?

«Volevamo salire sul ring e combattere, siamo ragazzi molto competitivi, ancora».

E' vero che chi deve fare un film sul pugilato viene da lei per avere consigli su come rendere la scena di un incontro?

«Vero, lo faccio da così tanto tempo che sono diventato un esperto. Il segreto è prendere gente che sa boxare e inserirla nel film. Come Dolph Lundgreen, per esempio, nell'85, e oggi con Florian Munteanu che interpreta Viktor Drago. Ha tutto il pacchetto, è bello, sa combattere ed è una montagna di muscoli».

Rocky, nel 1976 ha vinto tre Oscar. Miglior film, regia e montaggio. Lei venne nominato fra i migliori protagonisti e per la sceneggiatura ma non vinse.

«Fu una serata memorabile lo stesso».

Ci ricorda?

«Affittai uno smoking. Mi stava stretto, soprattutto il colletto, nel tentativo di allargarlo ruppi il laccio del cravattino.

L'autista si offrì di darmi il suo ma erano gli anni Settanta e pensai che sarebbe stato figo sbottonare la camicia e lasciare aperto il colletto lunghissimo e appuntito. Non scorderò mai gli sguardi scandalizzati di tutti. Erano quelli anni molto formali».

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