Il romanzo è vivo e ci parla Nonostante le serie tivù

Si dice spesso che le fiction stiano sostituendo i libri Ma per la scrittura vera resterà sempre uno spazio

House of cards, serie tv prodotta da Netflix
House of cards, serie tv prodotta da Netflix

Luca Doninelli

Diversi sociologi americani sostengono che il Romanzo ha perduto la propria funzione originaria - quella di trattare le domande e i temi fondamentali dell'esistenza - per entrare in una specie di post-vita tutta legata all'intrattenimento. Le ragioni addotte sono interessanti ma molto ambigue: nella formazione intellettuale di un giovane americano di oggi, dicono, non è più il Romanzo (Dostoevskij, Tolstoj, Kafka, Hemingway ecc.) a fornire quel patrimonio di immagini, frasi, illuminazioni che formano la base, il tappeto dell'autocoscienza nel passaggio alla vita adulta. Questo posto, dicono, è stato ormai occupato dai serial tv. È vero? Non è vero? E poi: questo basta da solo per decretare la fine del Romanzo?

Innanzitutto, alcuni dati interessanti ci dicono che, specialmente all'estero, il romanzo gode di ottima salute e resta l'elemento trainante del carrozzone editoriale. L'e-book stenta ad acquistare una dimensione popolare mentre il cartaceo cresce, soprattutto presso i giovanissimi. L'Italia costituisce un capitolo a parte, sia perché i dati statistici confondono spesso la lettura e la vendita (cose che andrebbero distinte), sia perché la sudditanza dalla tv (il fatto di essere presentato da Fabio Fazio è ormai una qualità intrinseca a un libro) e dalla schiuma del mercato angloamericano sta dissipando un tesoro di cultura popolare, che nacque con il fenomeno-Bur e di cui beneficiamo ancora più di quanto si pensi. Me ne sono accorto presentando per l'Italia il mio ultimo romanzo. In Italia esistono moltissimi lettori forti (e non solo consumatori di gialli) ma specialmente in certe aree si avvalgono più del circuito delle biblioteche che non dell'acquisto in libreria. Insomma, le vendite sono un dato ma non il dato.

Passando ai serial tv, diciamo subito che ce ne sono di ottimi, e che i loro sceneggiatori sono quasi sempre scrittori di ottima qualità, che non si sognano nemmeno di affossare il Romanzo ma che, non trovando sbocchi di mercato nel circuito nobile, si sono visti costretti a trasferire i loro contenuti romanzeschi su altri supporti. Nel serial, insomma, il romanzo non muore: semplicemente cambia pelle.

Con qualche distinguo, certo. Il primo riguarda la modalità di lavoro: chi fa serial tv lavora in équipe e non da solo (anche se la folla di ringraziamenti che troviamo, immancabilmente, alla fine di ogni romanzo mi fa pensare che questo non sia più vero nemmeno per il romanzo tradizionale). Ma sembra anche che le grandi narrazioni oggi siano possibili solo così. Dubito che uno scrittore solo sarebbe in grado, oggi, di concepire un serial profondamente romanzesco come House of Cards. Le conseguenze sul piano estetico sono enormi: l'opera non è più il prodotto di un'unica mente, ma una costruzione collettiva. Ogni romanticismo è abolito, si torna a Dickens, al Romanzo d'appendice in chiave rinnovata. Il secondo distinguo è però il più importante. Quando avevo tredici anni, per la prima volta acquistai da solo, con i miei soldi, un libro da grandi: Sulla strada di Kerouac. Lo lessi di nascosto, tenendolo tra la rete e il materasso del mio letto, perché non volevo che lo scoprissero i miei: troppe parolacce, troppe scene di sesso. La mia era una famiglia culturalmente aperta, molto laica, ma questa era una faccenda mia e solo mia e doveva rimanere tale.

Ecco: pur avendo già letto molti romanzi, questo fu per me il primo, vero incontro con il Romanzo. Per la prima volta uno scrittore parlava con me e solo con me. Questo fu possibile perché un romanzo si rivolge sempre a una persona, a un tu: fosse anche stampato in milioni di copie, i destinatari sono sempre milioni di individui, di personalità diverse. Il Romanzo parla a ciascuno di noi, singolarmente.

Una serial tv non potrà mai eguagliare questo risultato, perché nasce per un pubblico collettivo. Posso guardarmelo di nascosto sul mio smartphone, ma la modalità resta comunque social. Un serial è fatto, strutturalmente, per essere visto in compagnia, anche se lo guardo da solo. È opera di un team, usa un medium di natura sociale così come di natura sociale è il suo destinatario. Qui nasce il vero problema, secondo me. Alla lunga (siamo ancora agli inizi) cambierà nei giovani avvezzi ai serial - sempre che i sociologi americani di cui sopra abbiano visto giusto - il modo di attivare la memoria, che è la materia con cui si sviluppa e si costruisce l'io, ossia la personalità: il grande patrimonio antropologico della nostra civiltà. Ricevere le parole, le immagini-base attraverso strumenti per loro natura collettivi non potrà non spostare, modificare quegli attivatori di memoria che presiedono alla formazione dell'io.

Personalmente, non credo che questo sia un disastro, anzi, attendo novità e sono curioso (sempre che faccia in tempo a vederle). Penso però che qualcosa cambierà nella nostra idea di uomo, e che tra una o due generazioni vedremo uomini un po' diversi da noi.

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