Le sale non sono piazze Il cinema impegnato bocciato al botteghino

Mezzo flop per Romanzo di una strage e Diaz: sono pellicole troppo distanti dal pubblico. Il box office premia commedie e fantascienza

Le sale non sono piazze Il cinema impegnato bocciato al botteghino

Giornali pieni, sale vuote. O semivuote. Il cinema civile non tira, non sfonda, non decolla. Dopo due settimane di programmazione Romanzo di una strage è fuori dalla top ten. Appena arrivato, invece, lo sponsorizzatissimo Diaz si è fermato al quinto posto, dietro al formidabile Quasi amici, nelle sale dal lontano 24 febbraio. In vetta al box office c’è la fantascienza navale di Battleship che precede la tragedia, anch’essa navale, del Titanic 3D, in qualche modo successi annunciati.
Quello che invece sorprende è il modesto risultato del film diretto da Daniele Vicari su una delle pagine più nere della nostra storia recente: le violenze della polizia nella scuola Diaz durante i giorni del G8 genovese, luglio 2001. Un film apprezzato dalla critica cinematografica, ma contestato dalla politica. Da destra, perché mostra appena di sfuggita la guerriglia innescata dai black bloc (anche se il pareggio di violenza mostrata non sarebbe risolutivo). Da sinistra, perché non fa i nomi dei responsabili degli scontri nella scuola. La storia controversa e a doppia lettura sembrerebbe un buon ingrediente per alimentare la curiosità del pubblico. Tra la strage di Piazza Fontana riletta da Giordana con l’ausilio del libro di Paolo Cucchiarelli (Il segreto di Piazza Fontana) e il G8 documentato da Vicari sulla base degli atti processuali ci sono oltre trent’anni di distanza e nessun filo conduttore.
Anche la mano dei due registi è assai diversa. Più romanzesca una, più documentale l’altra. Ma il risultato è stato lo stesso. Paginate di giornali, commenti delle migliori firme, intervistone e ospitate in tv. Insomma, il famigerato dibattito che agita il Paese e smuove le coscienze, con la storia d’Italia, ambigua e irrisolta, al centro. Avrebbe dovuto essere un boom, un successone, almeno un successo. Il gran ritorno del cinema di denuncia. Un po’ fiction e un po’ inchiesta. Un po’ romanzo e un po’ cronaca. Invece nisba. Il flop è servito. Costato 9 milioni, con 800mila euro concessi dalla Direzione generale del ministero per i Beni culturali e prodotto da Rai Cinema, Romanzo di una strage finora ha incassato un milione 750mila euro. Diaz di milioni alla Fandango ne è costati 7 (400mila euro di finanziamento pubblico), ma nel primo week end ha incassato 666mila euro. Qualche domanda forse varrà la pena di farsela.
Presentando il suo lavoro, peraltro firmato da Stefano Rulli e Sandro Petraglia, sceneggiatori di punta della cinematografia civile, Giordana ha spiegato che si rivolgeva ai giovani e a chi non sapeva nulla di Piazza Fontana. E, in effetti, sono soprattutto i giovani che determinano il boxoffice. Ma chi ha una qualche frequentazione con i ventenni d’oggi difficilmente può illudersi che vadano a vedere un film su una tragedia di 43 anni fa, talmente intricata che nemmeno decine di magistrati in svariati processi sono riusciti a sciogliere. Beninteso, nessuno è contento di questo. Ci si limita a constatare che Romanzo di una strage è un film distante dai giovani del 2012. E, a dirla tutta, pur ben recitato e con i protagonisti ben delineati dall’ottimo cast, un certo impegno d’immedesimazione lo richiede anche a quarantenni e cinquantenni.
È un fatto temporale, di contesto in cui viviamo, di preoccupazioni che ci angustiano ben più e ben prima di capire chi mise la bomba (o le bombe) nella Banca Nazionale dell’Agricoltura il pomeriggio del 12 dicembre 1969. Insomma, per farla breve, con tutte le grane che abbiamo, «che palle la strage di Stato» (copyright Giuliano Ferrara). Se devo scegliere, Romanzo di una strage non è il primo film che corro a vedere con mia moglie. O che consiglio agli amici. Se ne faranno una ragione anche le 16 (sedici) candidature ai David di Donatello. E, ahimé, non basta nemmeno il «dovere civile» a spingere in sala per Diaz - Don’t cleap up this blood. Anzi, forse è proprio qui l’errore di prospettiva, il virus che affligge certa intellighenzia d’essai. Che si debba andare al cinema per «dovere civile». Come un obbligo sociale, per parlarne nel salotto giusto.

Certo, si può fare: eccome. Lo fanno gli intellettuali, le professoresse democratiche, gli addetti ai lavori, chi è coinvolto personalmente. Ma si può anche non fare. E allora non bisogna prendersela troppo se il verdetto del botteghino è questo.

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