La Scala «fa la festa» a Giuseppe Verdi Dura contestazione del pubblico

La locandina della nuova produzione di Macbeth di Giuseppe Verdi al Teatro alla Scala, andata in scena ieri, annuncia «edizione completa della prima versione 1847». Un'occasione utile per ascoltare l'opera nella forma originale. Peccato che questa «Quarantasettana» sia invece meticcia. Due scene fondamentali - l'aria di Lady Macbeth, La luce langue e il Coro dei profughi scozzesi, Patria oppressa - vengono dalla versione definitiva (Parigi, 1865). Ascoltare la prima versione avrebbe senso se in forma integrale. Il pastiche svela impietoso l'indiscutibile inferiorità della prima versione, sottolineata dall'inopportuno ricorso ai due pezzi cui Verdi pose mano. Le scelte testuali poco interessano al pubblico, soprattutto quello delle attuali «prime» scaligere fuori abbonamento, composto in maggior parte di non italiani desiderosi di partecipare ad una festa nel primo teatro d'Italia. Al contrario l'indirizzo registico si allarga, occupando uno spazio che allontana dai valori musicali.
Partiamo, allora, dalla messa in scena. Il Macbeth secondo Giorgio Barberio Corsetti (regista) non si capisce in quale tempo (e luogo) si svolga. I costumi non soccorrono. Macbeth passa dalla vestaglia al capospalla, sua moglie indossa caffettani di sapore storico. Entrambi, percorrendo il sentiero di delitti che conduce al potere, sorbono aperitivi. Fra le streghe, cencicate come tricoteuses della Rivoluzione francese, si agitano mimi tarantolati. Le cortigiane scozzesi vestono à-la-Chanel anni '20 (secolo scorso), i signori smoking di modesto taglio. Nella scena del banchetto, spasmi delle signore inducono a pensare che abbiano bevuto, invece di champagne, lassativi. Soldati di varia provenienza storica: dalla Grande Guerra al Sud America con proiezioni, nelle scena delle apparizioni, dei dittatori del XX secolo (Hitler, Mussolini, Stalin). Neppure il carisma e la prepotente natura musicale hanno salvato il maestro Valery Gergiev dalle beccate e dalla riprovazione del loggione. Stessa sorte per l'incolore Macbeth di Franco Vassallo, la paciosa Lady di Lucrecia Garcia, l'intubato Banquo di Stefan Kocan e l'agro Macduff di Stefano Secco. Il coro ha fatto la sua parte (peccato per la sbandata in apertura dei signori), ma l'intesa fra palcoscenico e direttore era spesso opinabile.
L'unico mistero della serata era perché lo spettacolo fosse cominciato mezz'ora prima, non essendo così lungo da giustificare un'anticipo. Forse qualcuno era atteso da improcrastinabili impegni. Ne ha fatto le spese Verdi.

E non è la prima volta, almeno quest'anno che dovrebbe essere anno di festa. Fargli la festa, come si dice, è tutt'altro discorso. Per rimanere a Verdi un «vindice» c'è stato: il pubblico ho sonoramente bocciato in toto lo spettacolo.

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