Cultura e Spettacoli

Se le cose ci insegnano la filosofia del reale

Gianluca Barbera

L'uomo guarda alle cose dal punto di vista della loro funzione e utilità. Ma esiste un altro modo di guardarle? Gli oggetti sono anche altro? Hanno una vita propria che prescinde dall'uomo, una natura che sfugge alle nostre classificazioni? Esiste un loro punto di vista? Hanno dei bisogni? Come possiamo conoscerle per ciò che sono in realtà (o meglio nella loro reale esistenza)? Cosa sarebbe il mondo senza l'uomo? Sono alcune delle domande da cui prende avvio il saggio filosofico Cose. Per una filosofia del reale di Felice Cimatti (Bollati Boringhieri, pagg. 200, euro 19).

È possibile, si chiede l'autore, sgomberare il campo dalla presenza dell'uomo, signore del linguaggio col quale assegna un nome alle cose trasformando un flusso, una rete di eventi interconnessi e mutevoli, in una realtà fatta di enti separati e distinti, ponendosi come soggetto e padrone di fronte a un universo trasformato in cosa, in oggetto al suo servizio, da sfruttare e utilizzare (tra l'altro, sarebbe proprio tale modo di vedere a causare guerre e disastri ambientali)?

Secondo l'autore, «nì». Dopo aver passato in rassegna i tentativi della filosofia (Heidegger, Wittgenstein, i nuovi realismi), delle scienze (Jakob von Uexkull), della psicoanalisi (Freud, Lacan, Searles), dell'arte (Cézanne, Picasso) e della letteratura (Joyce, Sartre, Robbe-Grillet, Beckett, Ponge), Cimatti ci introduce a una nuova visione del mondo che passa attraverso la vita segreta delle cose e lo sguardo e il sentire degli animali. Ma che cosa ci possono insegnare le cose? E gli animali? Un cane, per esempio? A sentirci parte del mondo, senza aspettative né domande. Semplicemente lasciandoci esistere, consentendo al mondo di scorrerci dentro. Accettando, anzi amando (per dirla con Nietzsche) il proprio destino (che non è più nostro se facciamo veramente parte del mondo, ma è del mondo in quanto pan), qualunque esso sia, qualunque cosa ci riservi. Come fanno gli animali, o anche (parzialmente) alla maniera degli antichi filosofi cinici.

Dovremmo imparare a essere come le cose, o come gli animali, se vogliamo essere felici, accettando, anzi accogliendo, ciò che ci tocca in sorte. Sorge però una domanda: perché l'uomo non smette mai di volersi cambiare, educare, mai accettandosi per ciò che è (civiltà inclusa)?

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