Il silenzio. Rotto soltanto dallo scalpito dei cavalli che tiravano la carrozza funebre. Londra aveva rinunciato alla voce, stava racchiusa nel dolore e nello stupore della morte, di quella morte. La fiaba, bellissima e misteriosa, era finita, improvvisamente, tragicamente. Spenti i motori degli autobus a due piani, muto lo sferragliare della metropolitana, ferma la città, dovunque fiori e lacrime, il Paese aveva superato le V2, la guerra e si ritrovava stranito, sbalordito dinanzi all'imprevisto evento La principessa non sorrideva (...)
( ...) più, Harry e William si erano risvegliati bambini più soli, in un mattino di tarda estate dove nessuno aveva voglia di raccontare la verità. Charles, il padre loro, viveva due forti emozioni, quella della scomparsa della propria ex moglie, dalla quale aveva divorziato, sempre nel mese di agosto, un anno prima e, insieme, il tremore di un'altra esistenza da incominciare, comunque desiderata e tenuta nascosta, con la donna di prima, la donna di sempre, Camilla. Parigi fu la città della morte, il tunnel dell'Alma, la corsa folle e feroce della nera Mercedes blindata, i fotografi in motocicletta, i flash nel buio, l'urto contro il tredicesimo pilone, le sirene delle ambulanze, le automobili della polizia, i rottami accartocciati e il sangue, l'ospedale Salpetriere, l'attesa e la speranza, inutili.
Parigi fu l'ultimo respiro, dopo l'ultimo amore con Dodi Al Fayed, la principessa, senza corona e senza vita, tornava sull'isola del suo regno. Increduli e confusi, dopo cinque giorni di brusio, aspettammo il funerale, la lista degli accreditati era lunga come il corteo dei cavalli, dietro la prima carrozza che portava il feretro, su un fusto dei cannone. La campana di Westminster prese a scuotere l'aria con i suoi pesanti rintocchi, dentro, al primo piano dell'abbazia, era stata allestita una enorme sala stampa. Là sotto, Elton John, senza gioielli, senza riflettori, appoggiò lievemente le mani sul pianoforte e incominciò a cantare, Candle in the Wind, vidi le giornaliste inviate di fogli e televisioni, americane, francesi, italiane, trasformarsi in madonne piangenti, il volto rigato dal rimmel e dalle lacrime, fu silenzio tra i computer e i telefoni cellulari, emozione e commozione mentre la musica riempiva il vuoto lasciato da una donna e della sua storia. Elton John e Diana, a metà luglio di quell'anno, stavano uno di fianco all'altra, sfiniti dal dolore, su una panca del Duomo in Milano, alla funzione per la morte di Gianni Versace. Veloci scorrevano altre personali immagini, ricordi, aneddoti, quasi avessimo vissuto assieme ai Windsor e alla principessa. La regina, il consorte Filippo, il principe Charles e i figli attoniti e uniti da un dolore non previsto che aveva unito ancora una volta, come dice l'insegna storica, il Regno.
Fu subito il tempo delle illazioni, il sospetto di un omicidio e non di un incidente, lo strano caso dell'unico sopravvissuto, la guardia del corpo, la sola munita, a bordo, di cintura di sicurezza, il suo silenzio sull'epilogo feroce, le testimonianze, clamorose e subito insabbiate, dei fotoreporter, la denuncia di Al Fayed padre, il pellegrinaggio nei magazzini Harrod's per porre la firma su un libro funebre sotto le statue di Dodi e Diana, il solito rito turistico e macabro. La testa ronzava tra mille pensieri e altrettante voci che tentavano di spiegare l'accaduto, versioni fantasiose e fantastiche, soprattutto improbabili, Scotland Yard e la Cia, una bomba, molti James Bond, troppi Double-O-Seven, improvvisati agenti segreti al servizio di noi stessi. La bandiera a mezz'asta su Buckingham segnalava il cordoglio della casa reale, in verità Elisabetta si era limitata a chinare il capo dinanzi al passaggio del carro funebre, nessun fazzoletto bianco ad asciugare lacrime false.
In una settimana la corte dei Windsor aveva metabolizzato l'evento, sarebbe stato opportuno tenere alla larga le zanzare della stampa che avevano succhiato immediatamente sangue dai parenti della principessa, Charles, il fratello, primo e su tutti. Giorni amari, Londra era affollata di memorabilia, il volto sorridente di Diana su tazze e bicchieri, tovaglie e parannanze e vasi di cristallo, cianfrusaglia rivelatasi preziosa per collezionisti maniacali.
Venne il tempo, subito dopo in verità, delle ricostruzioni dei tradimenti e dei litigi furibondi, di incontri clandestini in alcove imprevedibili, l'immagine di Diana non era più quella di una fanciulla fresca e ingenua, i suoi amori di vendetta la rendevano ancora più pop del principe consorte la cui espressione, insignificante, dalle gote rubizze, non era cambiata nemmeno il sei di settembre. La principessa del popolo diventò il sottotitolo di qualunque racconto, la sua eleganza raffinata, dopo lo stile campagnolo floreale Laura Ashley, grazie agli abiti di firma italiana di Gianni Versace, la frequentazione dello star system e non dei barbosi corridoi della nobiltà, l'allontanarono dal resto della casa reale. Il racconto non si è fermato affatto, i castelli e le dimore sono le stesse, le chiacchiere di corte riguardano osceni scandali sessuali, il glamour è però diverso, il censo e l'eleganza della nuova donna Windsor, la duchessa del Sussex, Meghan Markle, sposa di Harry, ha squadernato il diario e la fotografia di gruppo.
Si tenta di scrivere un'altra fiaba, Kate e William sembrano gli interpreti ideali di un passato prossimo che deve avere un futuro probabile, anzi certo.Il silenzio e l'assenza di Diana sono più forti di qualunque altra voce e presenza, oltre a sua maestà Elisabetta. La bianca nuvola della principessa mai ha abbandonato il cielo, sopra il palazzo di Buckhingham.
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