Se il perfido Dago sembra un professorino

In effetti Dago, al secolo Roberto D'Agostino, sembra un po' troppo professorino, con quel modo didascalico di affrontare gli argomenti e il tono basso della voce. In stridente contrasto con le immagini che gli girano vorticosamente attorno di ragazzi folli che si appendono in cima a un grattacielo o del fondoschiena esagerato di Kim Kardashian. Certamente un effetto voluto. Ma fa un po' strano vedere Dago, il nostro Dago, del cui sito di gossip e notizie i giornalisti si abbeverano, incorniciato in uno schermo televisivo a scandagliare il fenomeno sociale del momento: i selfie.

«La vita è una battaglia per non essere se stessi. Una battaglia tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere»: filosofeggia D'Agostino in apertura della prima di tre puntate di «Dago in the Sky», in onda al mercoledì alle 20,30 su Sky Arte, dedicate alla nostra complicata era digitale. Il concetto di «esaltazione dell'io» è alla base del perché il selfie stia (pericolosamente) invadendo la mente e il tempo delle persone. Dalla sua consacrazione agli Oscar 2014 con le facce attonite di Julia Roberts e Meryl Streep alla santificazione ricevuta dal Papa, l'autoscatto pare proprio una follia collettiva. Che arriva al paradosso di quel ragazzo che colpito da un proiettile si riprende agonizzante.

Ben costruito, ben montato, come sanno fare a Sky, il programma di Dago è piacevole. Ma, forse, noi che rivediamo la nostra egomania sul suo sito (che rilancia i pezzi dei giornalisti) lo preferiamo on line, piuttosto che on sky. Cattivo, perfido, «maniaco» sessuale, avventato... e senza rete.

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