Non stupisce che David Sedaris alla fine abbia pubblicato le sue annotazioni private di vita quotidiana, in uscita in Italia in questi giorni per Mondadori con il titolo Ragazzi, che giornata! Diari 1977-2002 (euro 21, trad. di Matteo Colombo). Si tratta di oltre quattrocento pagine ed è solo il primo volume, ma non avrebbe potuto fare diversamente. Perché Sedaris è uno che quando un venditore porta a porta suona, apre con entusiasmo, pronto a un incontro «letterario». La cosa finisce per costargli anche trenta dollari a incontro, ma va bene così: «Adesso almeno potrò scriverne», pensa. Percorrendo le pagine dei suoi diari, che è venuto a presentare al Festivaletteratura di Mantova (oggi, 22,30, Palazzo San Sebastiano), è questo che viene fuori: lui non è uno scrittore, ma un uomo che vive scrivendoci sopra.
«Non importa se ridono di me o con me», spiega. «Amo andare in tournée a leggere i miei libri, invece di twittarci sopra, proprio per sentire la gente che ride. Il ruolo dello scrittore? Se uno riesce a divertire gli altri e ad arrivare anche a qualche verità sugli umani mi sembra il massimo, ma anche se li diverti e basta va già bene. Sono fortunato proprio perché trovo buffe tante cose: non vorrei mai vedere il mondo come lo vede una persona troppo seria. Apro il giornale, leggo una notizia raccapricciante e ci rido su. Mi guardo allo specchio e rido. È l'unico modo di stare al mondo, per me».
Ecco perché il titolo originale del libro, Theft by Finding, «Furto di oggetti rinvenuti», è davvero calzante: che si tratti della sua prima dormita all'aperto in un campo da golf, a Sacramento, California, a ventun anni, nel settembre del 1977, in procinto di cominciare un nuovo lavoro, quello di raccoglitore di frutta, o della paura per un attacco terroristico a Londra, nel dicembre 2002, mentre è in giro per gli acquisti di Natale - le due esperienze che aprono e chiudono il volume - Sedaris trova sempre il modo di raccontare sapendo che più sarà irriverente e più il lettore si potrà identificare. Perché quella storia Sedaris l'ha «trovata» e quel che ci aggiunge è proprio il giusto grado di fallosità che strappa la risata. Infatti il politicamente corretto un po' gli pesa: «I giovani d'oggi sanno senz'altro ridere, ma sono cambiati gli atteggiamenti e le risposte al comico. Siamo diventati tutti ipersensibili: quando, magari nelle mie letture negli Stati Uniti, il pubblico sente quelle che non sono parolacce, ma parole ormai dimenticate, si domanda: Ha fatto una battuta sui polacchi? Ma si può? È autorizzato?. La gente si impicca su queste questioni. Salvo poi, dietro una facciata inappuntabile, avere un privato in cui si spacca dalle risate a guardare i video politicamente scorretti su Youtube».
Autore di romanzi-memoir che sono stati un culto per la Generazione X, come Ciclopi, Holidays on ice, Me parlare bello un giorno, Diario di un fumatore (tutti Mondadori), Sedaris ha raccolto i diari degli ultimi quarant'anni in oltre 170 quaderni, tutti delle stesse dimensioni, alcuni con foto e immagini e copertine tutte diverse: «Li tengo in un armadio della mia casa di Londra», racconta. «Ma li ho già venduti tutti all'Università di Yale. Con l'unica esplicita condizione di poter essere letti soltanto dopo la mia morte. Tanto credo che morirò entro la fine di quest'anno». Ovvio infatti che ciò su cui questo scrittore americano di origini greche, classe 1956, ama di più scherzare sono proprio le disgrazie della propria vita. La dipendenza dalle droghe e dall'alcool, ma anche un tumore benigno, che ha sognato di farsi togliere per darlo in pasto a una tartaruga: «È sempre meglio se a ridere di te stesso cominci tu. Cose che mi rattristano ce ne sono, come no», confessa. «Mio papà ha 95 anni e lo abbiamo dovuto mettere in casa di riposo. Mi rende triste vederlo lì e tuttavia ci sono molte cose buffe che gli succedono.
Ad esempio, qualche settimana fa gli è cascata addosso una pendola, che lui chiama da sempre Padre Tempo, e lo abbiamo portato in ospedale. Ora, se a 95 anni Padre Tempo ti stende a terra cadendoti addosso, forse è arrivato il momento di ascoltarlo, no?».
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