Cultura e Spettacoli

Le sedute spiritiche del mago Thomas Mann

L'autore della «Montagna incantata» racconta la propria esperienza di «garante» di un medium

Le sedute spiritiche del mago Thomas Mann

Ieri, nel corso della seduta, mi venne lanciato in faccia un piccolo anello luminoso che poi dalle mie ginocchia cadde sul pavimento. Con altrettanta disinvoltura mi si sarebbe potuta gettare addosso la campana da tavolo o il carillon, quel tipo di potere ne avrebbe avuta piena facoltà. Il fatto che ciò non si sia verificato, cioè che a qualcuno per via della materializzazione di energia accadesse qualcosa di increscioso, dà prova di un'intelligente soggezione nei confronti degli esseri umani e del danno fisico, una sensibilità per quel che è opportuno e la propensione alla delicatezza.

Dopo circa mezz'ora il medium batté quindici colpi col piede: una pausa di quindici minuti. Questo desiderio, sempre secondo la mia opinione, non derivava dalla fatica ma fu dettato dall'aspettativa che dopo la pausa gli incaricati del controllo venissero cambiati. Io tuttavia seguitai nel mio ufficio anche quando l'esperimento venne ricominciato da capo, e solo dopo un tempo di attesa che si era prolungato alquanto inutilmente, per la signora P. e per me si fecero garanti due uomini, alla cui vigilanza il medium era abituato, accordando loro tutto il suo favore.

Non so in quale misura l'erronea accensione della luce da parte di chi presiedeva alla cosa, differì i fenomeni. Sul momento è fuor di dubbio che agì in modo nocivo, visto che il medium si scosse con veemenza in tutto il corpo e poi iniziò perfino il tipico movimento a mantice delle braccia che accompagna il ritrarsi dell'emanazione.

Nonostante ciò abbiamo avuto bisogno di minore pazienza rispetto alla prima volta, allorché circa alle undici le apparizioni sono iniziate con il fazzoletto levitante nell'alone rosso della lampada da tavolo, succedendosi da quel momento in avanti in una serie che fu di gran lunga più ricca, precisa e d'effetto della mia prima seduta.

Da notare la lucidità nel sonnambulismo del medium che, sebbene i suoi occhi fossero chiusi, la testa gli pendesse in avanti o fosse reclinata all'indietro, oppure se ne stesse accasciata su un braccio o sulle ginocchia del controllore, sapeva bene o vedeva che stavolta sul pavimento non giaceva il solito fazzoletto ma un pezzo di garza bianca identificabile con un velo. Insistette affinché un fazzoletto venisse deposto a terra; di lì fu più volte sollevato, manipolato dall'interno, scrollato in alto e in basso. L'arto animato che agiva dentro l'oggetto sembrava stavolta più grande di quello visto in precedenza: del volume di un pugno piuttosto robusto. Il fazzoletto venne scagliato sul bordo del tavolo, quindi la campana, come nella recente seduta, non solo fu afferrata e suonata ma, per qualche secondo, visibile a tutti, tenuta in aria in posizione obliqua e condotta qua e là lungo un piccolo arco, apparentemente fluttuando, prima che l'entità la gettasse sotto la sedia del mio vicino.

Quindi fu la volta del carillon, la cui carica venne azionata così che si mettesse a suonare - un fenomeno oltremodo preciso nella misura in cui la materializzazione si lasciava pure comandare e, a seconda del mio «Fermo» e «Via», il suono attaccava o si arrestava.

La prestazione più considerevole fu forse il successivo volo del cestino per la carta, provvisto di strisce fosforescenti, il quale per lungo tempo e in maniera ostentata fu alzato orizzontalmente nella luce rossa e fatto scendere nell'acclamazione generale. Nel frattempo agli anelli luminosi sparsi sul pavimento aveva impresso movimenti in ogni direzione. Vennero spinti avanti e indietro, lievemente sollevati, gettati via. Uno, dotato di spago luminoso, salì, fu indirizzato al tavolino e, subendo una leggera spinta da parte di quel qualcosa che lo guidava e che fece vacillare il mobile, venne deposto sul suo piano.

Fu questo urtare di due corpi solidi con impercettibile rumore, questo attrito sulla superficie del tavolo derivante da qualcosa che non si vedeva, a trasmettermi fra tutti gli avvenimenti della serata l'impressione di gran lunga più intensa. Qui ha agito un'essenza occulta, dotata di vita autonoma, che rifugge la luce e gli sguardi, creatrice di effetti fisici, un'entità che non possiede un'esistenza come noi l'intendiamo, ma discendente da una sfera in cui il mistero del vivere si mischia con i misteri iper o iposensibili, metapsichici e metafisici; o se preferiamo, noi tutti siamo stati ingannati in un modo di per sé così incomprensibile che l'intelletto umano è costretto a sentenziare: «non siamo stati ingannati».

Il grado di coscienza e la capacità tattile del medium continuavano a dare buoni risultati intanto che lui impartiva ordini relativi a taluni spostamenti di oggetti, correggendo di volta in volta il responsabile che esaudiva i suoi desideri. La macchina da scrivere fu al centro delle successive materializzazioni. Venne maneggiata in un incessante tramestio. Il campanellino suonò, comunicando la fine della riga, si udì come il carrello venne tirato indietro col suo tipico rumore. Se di allucinazione si trattava fu estremamente credibile. Ma non lo era, dal momento che il foglio di carta presentava senza equivoco una scrittura costituita da un allineamento casuale di lettere dell'alfabeto (cosa che verosimilmente si sarebbe realizzata in modo diverso, se Willi avesse saputo scrivere a macchina).

Inganno, dunque? Ma non è possibile. Perché qualora lui avesse potuto liberare un piede e di conseguenza arrivare fino allo strumento, certo non sarebbe stato in grado di manovrare i tasti uno ad uno; chiaramente poi, nessun altro lì avrebbe potuto cimentarsi in questo. Quale spiegazione rimane? Commossi e trionfanti si potrebbe constatare che non ne resti nessuna del tutto razionale e basata su leggi fisiche.

Negare ciò sarebbe un illecito andare coi paraocchi e un'insensata renitenza.

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