Cultura e Spettacoli

Selvaggio o iper-civilizzato, tutto il mondo in agonia visto da due vite alla deriva

Il romanzo di Wu Ming-yi è un'inquietante e documentata parabola ecologista

Selvaggio o iper-civilizzato, tutto il mondo in agonia visto da due vite alla deriva

Atrei vive sull'isola di Wayo-wayo, atollo sperduto nel Pacifico, lontano dalla civiltà, dove vige la crudele legge del dio Kapanga, che condanna a morte tutti quelli come lui, cioè i secondogeniti maschi. Misura d'altra parte indispensabile, ove si voglia mantenere in equilibrio l'ecosistema della minuscola isola, un microcosmo in cui scarseggiano le risorse naturali e, per evitarne l'esaurimento, non si può fare a meno di praticare un rigoroso malthusianesimo.

In effetti, il secondogenito non viene giustiziato ma, nei suoi confronti, si applica qualcosa di ancora più crudele. Al raggiungimento del quindicesimo anno di età, gli si impone di prendere il largo per un viaggio di sola andata, a bordo di un telawaka, una sorta di piroga ecologica costruita facendo a meno del legno dei preziosi alberi, quindi con materiali sostanzialmente di scarto. «Se ne riparla quando torna il secondogenito», si dice a Wayo-wayo riferendosi a una cosa di impossibile realizzazione.

Dall'altra parte dell'oceano, Alice sta affrontando una tragedia familiare: la scomparsa del figlio e del marito. Non sa ancora che, con Atrei, intraprenderà un difficile viaggio tra le montagne, per risolvere più di un mistero. Le due vicende sono infatti parallele e mai dovrebbero incontrarsi, se un corto circuito della Storia, rappresentato da un enorme vortice di spazzatura, non le costringesse a deviare dal loro percorso naturale e a fondersi in una drammatica dimensione contemporanea. Isole galleggianti di immondizia, nemesi dell'umana scelleratezza, navigano per gli oceani sconvolgendo i territori con cui entrano in contatto e, naturalmente, la vita dei protagonisti e proponendosi come la plastica rappresentazione del disastro dell'umanità e del pianeta.

Montagne e nuvole negli occhi (E/O, pagg. 321, euro 18, traduzione dal cinese di Silvia Pozzi), romanzo del taiwanese Wu Ming-yi, è proprio questo: una favola ecologista scritta (benissimo) da un autore che è anche pittore, designer, professore di letteratura, attivista ambientalista, blogger e studioso di farfalle. È la sua prima opera tradotta in italiano e non è difficile prevedere che sia destinata a diventare un classico. La scrittura si caratterizza per un realismo mai brutale; sebbene racconti la desolante quotidianità del mondo, con un'umanità e un pianeta vulnerabili, riesce a fare apparire tutto quasi come una favola.

Una favola triste in cui si registrano l'agonia delle balene e la morte di tutte le creature del mare a causa della umana sconsideratezza. Dove l'attesa dello tsunami prima e i suoi effetti devastanti dopo, sono descritti con rara efficacia, ma sempre in assenza di compiacimento per il male, o di sentimentalismi. Insomma, l'autore evita le drammatizzazioni ma è capace di lucido realismo, regalandoci una fotografia della tragedia del nostro tempo, illuminata a tratti dagli slanci di persone generose.

Fra le righe traspare l'insegnamento che anche l'attuale pandemia dovrebbe averci impartito: la natura ferita si vendica sempre contro gli umani deliri di onnipotenza. Perché Lei, alla fine, ci sarà comunque, mentre noi ci estingueremo...

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