Questa noiosa edizione degli Oscar sarà ricordata con quella del perfetto manuale Cencelli anti Trump. Hanno fatto vincere un po' tutti, in modo che ognuno potesse salire sul palco a dire, più o meno, la propria contro l'attuale presidenza Usa. Del resto, esiste un ambiente più ostile ai repubblicani come quello dell'Academy? Che aria avrebbe tirato per Trump, lo si era già capito dalla clamorosa assenza, nelle Nomination, dal bellissimo The Mule, pellicola firmata da Clint Eastwood, tacciata di razzismo. Candidarla, avrebbe significato premiarla e non si poteva certo guastare la festa «anti». Così, l'Oscar per il miglior film è andato a Green Book (premiato anche per la sceneggiatura originale e per l'attore non protagonista con il bravissimo Mahershala Ali), pellicola sulle discriminazioni razziali degli Anni Sessanta. A scanso di equivoci: senza The Mule, era il film più bello tra quelli in concorso e quindi premio meritato, ma è evidente come sia stato il tema del razzismo, visti i vari vincitori, la chiave vincente di questa edizione. Ad esempio, ha trionfato Spike Lee, per la categoria «sceneggiatura non originale», con Blackkklansman, storia di un poliziotto di colore infiltratosi nel Ku Klux Klan. Suo è stato l'attacco più diretto a Trump: «Le elezioni del 2020 sono dietro l'angolo, dobbiamo mobilitarci tutti. Scegliere fra odio e amore. Fate la cosa giusta», tra l'ovazione dei presenti. E, a proposito dei famosi muri, accennati durante la premiazione, tre Oscar (regia, miglior film straniero, fotografia) sono andati a Roma, del messicano Cuarón. Era il film prodotto da Netflix, grande favorito alla vigilia, a dimostrazione che Hollywood ha aperto una porticina alla piattaforma streaming, ma non ancora il portone principale. Da previsioni la vittoria di Rami Malek (che ha rivendicato le sue origini egiziane), come attore protagonista, per la straordinaria performance, nei panni di Freddie Mercury, in Bohemian Rhapsody; meno, tra le attrici (ma la meritava più di tutte), quella di Olivia Colman, la regina del triangolo lesbico de La Favorita. L'afroamericana Regina King è la vincitrice tra le non protagoniste, come da pronostico, per Se la strada potesse parlare, altro film sul razzismo. Meritava qualcosa in più del solo Oscar per la Miglior Canzone, A Star is Born, mentre, come animazione, non fa una grinza la vittoria di Spiderman: un nuovo universo.
Incomprensibile il premio per gli Effetti Speciali a First Man, con Ready Player One in gara. E meno male, per Trump, che hanno ignorato Vice, film che ritrae il repubblicano Dick Cheney come il male assoluto. Si sono fatti bastare tutto il resto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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