Cosa sarebbe Magritte senza la pipa o la sua bombetta? E Conan Doyle senza suoi curatissimi baffi (e il suo Sherlock Holmes senza l'immancabile deerstalker)? E Francis Scott Fitzgerald (e i personaggi dei suoi racconti) senza la brillantina e i suoi meravigliosi cappotti? Ci perderemmo, è certo, un pezzo di arte e di letteratura. Perché nell'arte e nella letteratura, come nell'eleganza, il dettaglio è tutto. Il superfluo (che come diceva Albert Einstein è la prima necessità dell'uomo) è così inutile da diventare essenziale. Chissà perché soprattutto per gli intellettuali. Forse la risposta la conosce Giuseppe Scaraffia, scrittore dandyssimo, che ha catalogato le cose superflue nell'opera e nella vita dei grandi scrittori - dalla A di anello alla V di vestaglia lasciando la Z agli zotici - nel dizionario Il demone della frivolezza (Sellerio), leggendo il quale si scopre che:
L'ANELLO È UNA COSA DA UOMINI
Cocteau, dopo la morte dell'amato Radiguet, aggiunse al mignolo la fede di Cartier che aveva disegnato per siglare la loro unione. Truman Capote invece sosteneva che André Gide gli avesse regalato un anello d'oro con ametista, segno del loro amore, ma Gide, interpellato, negò, stupito persino di averlo incontrato.
L'ESSENZA DELLA SCRITTURA È L'ASSENZIO
Hemingway non aveva dubbi: «Dicono che faccia marcire il cervello, ma non ci credo... Non c'è niente come l'assenzio». Dumas cominciava le sue giornate con un bicchiere d'assenzio. Verlaine visse d'assenzio. E le notti di Toulouse-Lautrec erano illuminate dal verde veleno dell'assenzio.
IL BASTONE DEL TALENTO
Il bastone dal pomo d'oro di Oscar Wilde era un palese omaggio a quello, ben più vistoso, di Balzac. Bonaventura Tecchi passeggiava con un bastone cinese, regalo di Ungaretti. Pound picchiava la canna d'ebano contro il muro, agitandola come la bacchetta di un direttore d'orchestra. Tolstoj aveva un bastone di marasco. E quando Hans Christian Andersen scoprì che il suo amatissimo bastone, che aveva perso, aveva viaggiato da solo sul treno Londra-Edimburgo, ci scrisse sopra una favola.
GIÙ IL CAPPELLO, (CIL)INDRO
Il cilindro accompagnato alla finanziera che Vladimir Majakovskij ostentava in piena rivoluzione russa era stato comprato in un modesto negozietto, al contrario di quello lussuoso di Esenin. Montanelli, soprannominato «Cilindro», diceva che la bombetta adottata da Vitaliano Brancati in un periodo in cui il fascismo l'aveva messa fuori moda era un atto simbolico di eroico dissenso. Ma il cappello letterariamente più elegante, naturalmente, resta il panama: come quello bianco che brilla nelle mani di Julien Green «come un'aureola modesta».
COME PORTARE LE CORNA
Solo gli intellettuali sanno fregarsene altamente dei tradimenti, una cosa così frivola da diventare un vezzo. Ad esempio T.S. Eliot affidava senza esitare la bizzarra moglie Vivien a un donnaiolo come Bertrand Russell, che finanziava tutti i di lei capricci. E i coniugi Fitzgerald amavano raccontare a cena agli amici i loro tradimenti reciproci, sempre in versioni diverse. Ma le ultime - notò malignamente Hemingway - erano meno buone delle prime.
MONO-TONI MA IN DOPPIOPETTO
Tristan Tzara lanciò la rivoluzione dadaista in un serioso doppiopetto. Gadda lo portava anche nelle giornate più calde. Guido Piovene illuminava i suoi immacolati doppiopetti con cravatte sgargianti, «quasi arroganti». Saint-Exupéry lo usava come diga alla sua trascuratezza. E Dashiell Hammett, il giorno dell'arresto durante la caccia alle streghe americana, ne indossava uno molto più elegante di quello dell'agente dell'Fbi che lo aveva ammanettato.
LA FELLATIO È UN'ARTE
Molto praticata dalla moglie di James Joyce, da Lou Salomé con Apollinaire, dall'amante di Morand ottantenne, adorata da moltissimi scrittori omosessuali (Wilde, Gide, Proust...), Bukowski non poneva limiti (se non bassissimi) all'età delle bocche-bambine, la bella Desideria de La vita interiore di Moravia lega l'atto orale alla lotta di classe, ma rifiutandosi di inghiottirne le conseguenze, mentre Anaïs Nin disse: «Una donna dovrebbe nutrirsi di sperma».
PROFUMO DI CAPOLAVORI
Nulla fa risorgere il passato - e nutre la letteratura - come un profumo cui la memoria l'associa, ci ha insegnato Proust. Il quale però era costretto dall'asma a mettere al bando quei messaggi odorosi. Voltaire, incarcerato alla Bastiglia, chiese solo libri e un profumo. Pierre Loti per scrivere i suoi romanzi ambientati in oriente si cospargeva di profumi indiani. Wagner, per concentrasi nella stesura del Parsifal, si inebriava delle fragranze degli oli essenziali della vasca da bagno attigua allo studio. Mentre Hemingway, il più raffinato di tutti, apprezzava «l'intenso e volgare profumo delle puttane».
INTELLIGENZE IN FUMO
La gente normale fuma sigarette, gli intellettuali i sigari. Chissà perché. Comunque, Roman Gary si divertiva a provocare i rivoluzionari che la moglie gli portava in casa ostentando i suoi giganteschi Montecristo, il cui prezzo sarebbe bastato a nutrire una famiglia indiana per dieci giorni.
Mentre è entrato nella storia della letteratura il biglietto che un indignato Cesare Pavese mandò a un taccagno Giulio Einaudi: «Spettabile Editore, avendo ricevuto n. 6 sigari Roma - del che Vi ringrazio - e avendoli trovati pessimi, sono costretto a rispondervi che non posso mantenere un contratto iniziato sotto così cattivi auspici».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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