Cultura e Spettacoli

Al "Signor Cardinaud" donano le corna. E Simenon gliele toglie a modo suo

Tradito dalla moglie, un grigio impiegato s'immerge nel buco nero del male

Non fatevi ingannare dal titolo del film, infedele (sia il titolo, sia il film) ma bello, che ne fu tratto nel 1956 da Gilles Grangier, con protagonista Jean Gabin. Perché no, Il signor Cardinaud non ha, né ha mai avuto, il Sangue alla testa. Da quando, tornando a casa da messa la prima domenica dopo Pentecoste, tenendo per mano il figlioletto Jean, capisce che la moglie Marthe se n'è andata, a quando... finisce il romanzo, ciò che gli serpeggia nelle vene non è l'ira pompata dalla gelosia, bensì la delusione, insieme al dolore sordo, profondo per essere stato abbandonato, per non essere stato all'altezza del compito di marito.

Ma nel momento esatto in cui nota un sorrisino sarcastico sulla faccia del giovane collega Bourgeois il quale sa, come tutti a Les Sables-d'Olonne sanno, in lui avviene «una sorta di scatto, simile a quello di un apparecchio fotografico: i tratti gli si erano induriti, erano diventati di una materia diversa, e ormai non esisteva più alcun contatto tra l'interno e l'esterno, tra il fondo e la superficie». Così, Hubert Cardinaud (Le fils Cardinaud, titolò Georges Simenon nel 1942), il figlio dell'umile cestaio, il trentaduenne che ce l'ha fatta, a salire tre o quattro gradini della scala sociale e che forse, nonostante tutto, potrà salirne altri, diventando socio del signor Mandine, nel settore assicurazioni, sospettando d'essere ufficialmente cornuto, fa in modo di non essere mazziato. Sia chiaro, lui non è un'anima nera, al contrario: ha due figli, il piccolo Jean che gli sgambetta intorno e la piccolissima Denise detta «Bocciolo di rosa», ancora in fasce; come detto, ha un buon posto con la prospettiva di renderlo ottimo; ha la stima (parola grossa) della gente; ha una bella casetta. Ecco, a proposito, bisogna finire di pagarla, quella casetta, e perciò ha messo da parte, come periodicamente fa, un gruzzoletto. Ma nella domenica maledetta in cui Marthe prende il volo in tutta fretta, lasciando l'arrosto nel forno e le finestre aperte, si dà il caso che spariscano anche quei tremila franchi.

Subito la macchina dell'emergenza si mette in moto: i pargoli affidati a una tata di fiducia, i genitori e i suoceri interpellati (ma all'insaputa della fuga, anche se in fondo non troppo sorpresi...), il prestito tappabuchi chiesto al principale e con vergogna ottenuto. Ed ecco arrivare, nella casella della posta, la certificazione del tradimento, un foglietto anonimo e sgrammaticato: «Invece di darti tante arie, faresti meglio a sorvegliare tua moglie, che la domenica mattina se la spassa con il figlio di Titine, al Petit Bar Vert. Sei un povero cornuto». Da allora in poi il cerchio disegnato da Simenon intorno al figlio della volgare pescivendola si stringe, lentamente ma inesorabilmente. È Mimile, ex compagno di scuola di Hubert, pelo rosso e testa calda, ladro, perverso e bugiardo patentato, appena tornato dal Gabon dove ne ha combinate di tutti i colori, a bordo del cargo Aquitaine, l'unico colpevole candidato a finire sul banco degli imputati. Ci finirà, infatti, e gli verrà inflitta una pesantissima condanna.

Il fascino noir di Il signor Cardinaud, ora riproposto da Adelphi (pagg. 136, euro 16, traduzione di Sergio Arecco) dopo l'edizione Mondadori del 1957 con il titolo Sangue alla testa, consiste nella tela che Hubert, piccolo e meschino ragno di provincia tesse (in quale misura consapevolmente, lo sa soltanto lui) intorno a Mimile.

Non per catturarlo e divorarlo, ma soltanto per fargli restituire il maltolto: una donna a tal punto insoddisfatta e inerte da preferire il richiamo del male proveniente da un avanzo di galera alla ottusa devozione di un marito geneticamente programmato per la sconfitta.

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