La potenza del fare. La bellezza del competere per creare. E perché no, anche se in Italia sarebbe vietatissimo dirlo, la bellezza del far soldi, di diventare dei giganti dell'economia. Così, senza un briciolo di senso di colpa, pensando che è una cosa moralmente buona. Anzi considerare i dollari, a milioni, come uno strumento indispensabile. Perché come spiega T. J. Stiles, premio Pulitzer e grande biografo di Cornelius Vanderbilt: «Gli uomini che hanno fatto grandi gli Usa non ragionavano in termini di soldi, ragionavano in termini di vittoria. I soldi servivano solo ad ottenerla o a sancirla».
È questo il succo della serie di docu-fiction intitolata Gli uomini che fecero L'America che andrà in onda su History a partire da stasera alle 22 (canale 407 di Sky). E sin dal primo episodio che racconta l'ascesa proprio di Cornelius Vanderbilt - il primo tycoon del mondo che creò un impero navale immenso e lo vendette in blocco per diventare il padrone della nascente rete ferroviaria a stelle e strisce - si capisce che il modo di narrare la storia economica al di là dell'Atlantico è completamente diverso rispetto all'Europa (e soprattutto all'Italia). Fosse anche solo per la scelta dei personaggi chiamati a commentare la ricostruzione delle vite dei grandi pionieri dell'economia e del capitalismo. Ci sono gli storici e i biografi ma ci sono anche i grandi dell'economia di oggi: da Ted Turner a Steve Case di AOL passando per Donald Trump. E sono questi ultimi, proprio in quanto pratici, a cogliere, il più delle volte, le sfumature più belle del carattere dei personaggi storici.
E poi ce la trasposizione onesta, o al meno al netto dell'ideologia. La vicenda Vanderbilt, a esempio, si apre con gli States in ginocchio dopo l'omicidio Lincoln. Insomma, in quel 1865 in cui molti erano pronti a giurare che gli Stati Uniti fossero una nazione finita, politicamente e forse economicamente. Eppure Cornelius Vanderbilt, che era una persona crudele e spietata negli affari, con la vita privata distrutta a causa della morte al fronte del figlio durante la guerra di secessione, contribuì più di tutti a cambiare le cose. Le sue ferrovie unirono il Paese, i suoi binari fecero transitare sempre più merci migliorando le condizioni di vita di milioni di americani. Persino le sue speculazioni di borsa (finite male) contro la compagnia avversaria (la Erie Railroad) che possedeva le linee ferroviarie dirette a Chicago cambiarono la storia. Con lui nacque la temutissima acquisizione aggressiva in borsa, con lui si capì che era necessario fissare delle regole a Wall Street.
E fu lui, che voleva trasportare il preziosissimo cherosene sui treni, a lanciare il magnate della generazione successiva John Davison Rockefeller. A loro seguirono gli altri grandi che la serie ritrae senza quelle critiche di prammatica e astoriche che da noi (dove il denaro deve essere per forza sterco del demonio) sarebbero quasi inevitabili: Thomas Alva Edison, Nikola Tesla, J. P. Morgan, Andrew Carnegie, Henry Ford...
Apologia del Capitale? Neanche per sogno. Il settimo episodio racconta come Vanderbilt, Rockefeller, Carnegie e Morgan non avessero avuto alcun freno per decenni. I politici americani decisero che era ora di finirla, cercando di far rientrare questi uomini nel controllo del governo. Da nemici i quattro diventarono alleati: decisero di comprare la Casa Bianca offrendo l'equivalente di 30 milioni di dollari al Governatore dell'Ohio, William McKinley. Mossa vincente, McKinley da presidente consentì loro di mettere in atto operazioni inimmaginabili senza alcuna conseguenza.
Morgan e Carnegie fondarono la US Steel, mentre Rockefeller prese il controllo del 90% del petrolio del Nord America. Però la spregiudicatezza produsse ricchezza per moltissimi se non per tutti. E questo negli Usa, essendo un fatto, conta più delle ideologie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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