Cultura e Spettacoli

La speranza è ciò che resta dopo la disperazione. Da Orazio a Cormac McCarthy a tutti noi

Non c'è «carpe diem» che possa zittire il desiderio di durare oltre il corso della storia

La speranza è ciò che resta dopo la disperazione. Da Orazio a Cormac McCarthy a tutti noi

Una delle poesie che più hanno segnato il corso della letteratura e della civiltà è l'Ode 11 di Orazio: «(...) filtra il vino, e rinserra in uno spazio breve/ ogni lungo sperare. Il Tempo, mentre noi qui/ discorriamo, sarà fuggito, inesorabile: cogli/ il giorno presente, dunque, e non accordare/ troppa fiducia a quello che verrà».

In questo breve mirabile testo troviamo una delle definizioni più perfette della parola disperazione. L'uomo disperato non è tanto colui che nega ogni significato dell'esistenza, o che - come Leopardi - la consideri un inganno crudele, fino a ordinare a sé stesso un'azione - quella del disprezzo - che non gli è connaturale. Il suicida, il nichilista, il pessimista possono essere uomini pieni di speranza. Spesso la vera disperazione si presenta, viceversa, allegra, lucida, feroce quando non tenera: fino allo strazio. Offre consigli preziosi: carpe diem. Non è al dies che dobbiamo guardare. Anche per un cristiano Dio si rivela nel qui e nell'ora. «Oggi si compie quello che avete ascoltato», dice Gesù nella sinagoga. L'epicureo Orazio pone, viceversa, l'accento sul carpe: «Carpe - diem»: le aspettative sul futuro consumano, e divorano il presente, che è la sola nostra ricchezza: il riflesso della luce nell'iride, il passaggio dell'ombra di un uccello sulla superficie di un lago, una delicatezza insperata da qualcuno da cui non ci si attendeva.

La forza dell'esistenza che balza fuori dal nulla, resa più forte dal nulla stesso, non deve confrontarsi con alcuna aspettativa: carpe - diem. Tutto il bello è ora. La felicità è ora. L'esattezza, la nettezza di diaspro di queste parole: «Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,/ quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare/ Thyrraenum». La disperazione si innalza in un ordine, o in un divieto: «... spatio brevi/ spem longam reseces». Accorcia ogni lunga speranza nel breve spazio dell'ora, e del qui.

L'assenza di speranza dà alle cose un nitore assoluto: non riconoscono creazione né dio sopra di sé e brillano di una luce propria, fosforescente, assurda e perfetta. Eppure una domanda ci preme, ci fa sussultare, ci brucia l'anima. Guardo i miei figli, guardo le persone che amo di più e mi chiedo: che ne sarà? Mille futuri si accumulano come nubi sulle teste dei miei amati.

C'è qualcosa che permane?, qualcosa capace di resistere all'urto del tempo? Se c'è, allora questa è la speranza. Ed è cosa dura e dolorosa, come una nave da condurre in porto contro la furia del mare. Non c'è carpe diem che possa mettere sotto silenzio questo grido: cosa può durare, per te, donna amata, per te, figlio adorato, per te, amico preso come me nel vortice, nello sciame della storia? nel suo oblio? Tutto ciò che è bello perirà, anche il cielo stellato finirà, ma, contro ogni evidenza, noi desideriamo che qualcosa viva per sempre.

Scrive Cormac McCarthy, in Non è un paese per vecchi:

«Ma quell'uomo si era messo lì con una mazza e uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra che sarebbe potuto durare diecimila anni. E perché? In cosa credeva quel tizio? Di certo non credeva che non sarebbe mai cambiato nulla. Uno potrebbe anche pensare questo. Ma secondo me non poteva essere così ingenuo. Ci ho riflettuto tanto. Ci riflettei anche dopo essermene andato da lì quando la casa era ridotta a un mucchio di macerie. E ve lo dico, secondo me quell'abbeveratoio è ancora lì. Ci voleva ben altro per spostarlo, ve l'assicuro. E allora penso a quel tizio seduto lì con la mazza e lo scalpello, magari un paio d'ore dopo cena, non lo so. E devo dire che l'unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una sorta di promessa dentro il cuore. E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra. Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa. È la cosa che mi piacerebbe più di tutte».

Questa è la speranza. La speranza è quell'uomo con lo scalpello.

Nel tempo che sgretola tutto, questo è il mio augurio per me e per voi.

Commenti