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Montecarlo John Landis, una forza della natura... Al Monte-Carlo Film Festival di Ezio Greggio, Landis ha presentato il suo ultimo film, girato a Edimburgo e ambientato nel 1828: Burke&Hare, con Simon Pegg e Andy Serkis. Avvertenza iniziale: «Questa è una storia vera. Tranne per quello che non lo è». Burke&Hare è sfrontato come questo annuncio e soprattutto talora è imprevedibile nella sua cattiveria. Lo sono stati anche Animal House, The Blues Brothers, Un lupo mannaro americano a Londra, Una poltrona per due... Qui al loro brio americano si aggiunge l’umorismo nero britannico nel raccontare due ladri di cadaveri (body snatchers) scozzesi. I loro affari erano così buoni per rifornire la facoltà di Medicina che presto «convinsero» sbrigativamente il loro prossimo a morire.
Signor Landis, l’America le ispira l’umore e la Gran Bretagna l’orrore?
«Ricorda Thriller, il videoclip per Michael Jackson? Vede dunque che anche l’America m’ispira l’orrore. Fra gli inseguitori di Jackson c’ero anch’io».
Le piace apparire. Piaceva anche a Hitchcock e Chabrol. Ma in Burke & Hare non appare lei, ma il suo collega Costa-Gavras di Z-L’orgia del potere…
«... Con la moglie Michèle. Sono loro la famiglia francese sgradita in Gran Bretagna. Il ricordo di Napoleone...».
Perché evocare reali assassini scozzesi d’epoca già apparsi sul grande schermo?
«Non è un’idea mia. Il film - che a gennaio uscirà in Italia - mi è stato proposto a Londra da Barnaby Thompson ed è stato girato nei magnifici teatri di posa della Ealing».
Tempo di lavorazione?
«Sei settimane, perfettamente rispettate. Faceva freddo e questo ci ha spronato».
Lei ha solo 60 anni, gira bene e rispetta le scadenze. Ma lavora meno di una volta.
«Perché è diventato molto difficile trovare soldi per i film, come per il resto».
Non le giungerà nuovo. Lei viene dalla gavetta...
«No. Ho cominciato a lavorare a nemmeno vent’anni. Ero assistente alla produzione di Guerrieri di Brian G. Hutton, con Clint Eastwood, girato in Jugoslavia».
Storia di una rapina di guerra. Sempre nel 1969 lei lavora anche in Un colpo all’italiana di Peter Collinson, con Michael Caine.
«Una rapina di pace. Col titolo The Italian Job trionfò in Gran Bretagna e fece vendere molte Mini Minor. Uno di quelli che le guidavano ero io».
Il suo sodalizio con Greggio come è cominciato?
«Con The Silence of the Hams, parodia di The Silence of The Lambs. In Italia è Il silenzio dei prosciutti, anziché Il silenzio degli innocenti».
Lì Greggio diventa regista e Landis attore.
«Il cinema ha queste inversioni di ruolo...».
Mi dia una definizione che le piace dei registi.
«Quella di John Huston: “Col tempo due categorie diventano rispettabili: prostitute e registi”».
Nel Papà di Giovanna di Avati lei ha visto Greggio attore drammatico…
«L’ho visto alla Mostra di Venezia. E ho trovato che Ezio è il migliore dei fascisti!».
Pensi, io definii Animal House il migliore degli antifascismi... Lì il suo alter ego è Bluto, il personaggio di Belushi?
«Non sono stato all’università, quindi non c’è molto di autobiografico nella vicenda goliardica. Ma in effetti mi riconosco nel personaggio di Belushi e in quello di Riegert».
L’intellettuale della compagnia.
«Del resto il tempo ha comportato una rivalutazione di quel film!».
Fra i registi americani, lei è considerato fra i più europei.
«Ma solo perché The Blues Brothers ha incassato più in Europa che in America».
Un regista europeo d’America che le è caro?
«Billy Wilder. Ebreo austriaco, ebbe la famiglia sterminata, ma riconosceva l’abilità dei connazionali».
Nell’ammazzare la gente?
«Nel farlo dimenticare. Diceva che in Austria sono riusciti, come connazionale, a rimuovere Hitler, ma a far ricordare Mozart».
Quanti film ha girato?
«Una ventina».
E ne ha visti?
«Diecimila».
Che cosa le spiace non aver visto?
«Non ho la lista: sono troppi. Come sono troppi quelli che preferisco».
Non rimpiange d’aver mancato dei film?
«Sì. Come l’amico e collega Joe Dante, qualcosa rimpiango».


Che cosa?
«Che la vita sia troppo breve per vederli tutti».

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