Storia e musica di diseredati «eroi» popolari

Lonnie Johnson è stato uno dei bluesmen dallo stile chitarristico più raffinato e sofisticato. Era un fenomeno che accompagnava il canto brutale e anarchico di Texas Alexander così come registrava dischi con Louis Armstrong o Victoria Spivey. Fu un grandissimo ma la sua fama svanì presto e lui finì a fare il fattorino in un albergo di Philadelphia quando, nel 1959, il critico Chris Albertson lo riportò in sala d'incisione. Ma, nel pieno del nuovo successo, un'auto guidata da un ubriaco lo investì in pieno su un marciapiede. Sylvester Weaver fu uno dei chitarristi che dimostrò (nel 1923!) come la chitarra acustica potesse accompagnare il classic blues della sua compaesana Sara Martin e fu uno dei primi ad incidere brani per sola chitarra. C'era Charley Jordan, arrivato nel quartiere a luci rosse (pieno di bordelli, sale da gioco, drogati e assassini) di Valley per fare il musicista ma presto trasformatosi in contrabbandiere professionista di whiskey. C'era Noah Lewis che imitava il verso degli animali e suonava due armoniche contemporaneamente, una con la bocca e una con il naso e che divenne celebre con i Cannon Jug Stompers del gigantesco Gus Cannon.

C'era Ishman Bracey (che poi divenne un reverendo della chiesa battista) che suonava blues tradizionale con grandi come Charlie McCoy e Tommy Johnson e - per rimanere fedele al vero blues - rifiutò un'offerta d'ingaggio di Louis Armstrong. Ci sono questi e tanti altri diseredati eroi della strada, che hanno fatto la povera storia del blues, nel libro di «ritratti» Rollin'and Tumblin (Arcana) del chitarrista Roberto Menabò.

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