Cultura e Spettacoli

Dalla sua casa-museo Giancarlo Sangregorio "scolpiva" riflessioni su arte e poesia

L'atelier-abitazione di Sesto Calende è sede della Fondazione in fase di rilancio

Dalla sua casa-museo Giancarlo Sangregorio "scolpiva" riflessioni su arte e poesia

«Anche la casa è l'avvisaglia di una poetica», scrive Davide Brullo per riassumere il lavoro dell'artista Giancarlo Sangregorio (1925-2013), intrecciato con il suo atelier-abitazione a Sesto Calende, affacciato sul Lago Maggiore, oggi sede della Fondazione eponima: un museo dove si sono accatastate le opere dello scultore milanese, i libri, le foto, le collezioni, specie di arte africana e orientale, frutto dei numerosi viaggi. Se non fosse per la stupidità dell'art system italiano, Sangregorio troverebbe stabile posto tra i grandi della scultura del Dopoguerra, vuoi per la determinazione monacale con cui ha fatto arte, vuoi per i risultati plastici di questa lunga meditazione.

Allievo di Marino Marini, Sangregorio ha traversato la temperie della modernità con indefessa fede nella forma che potesse rappresentare le cose e nei materiali più resistenti affinché permanesse qualcosa al disgregarsi delle cose; ugualmente a suo agio tra figura e astrazione, non dimenticò l'accelerazione impressa da Boccioni a inizio '900, con simultaneità e compenetrazione, quando si trattava di condurre, parole sue, ognuna delle tre e quattro dimensioni della scultura «all'unica dimensione della fusione di spazio-tempo», né scordò gli intenti plastici del polimaterico, né quelli più simbolisti di un astrattismo non geometrico e tendente alle forme primordiali della Natura.

Dicevamo la casa: la scultura di Sangregorio è radicata in questa porzione di lago e trae forza da essa, opere che si compongono di pieni e vuoti, di incastri tra pietra e legno, e specie quelle monumentali sembrano frutto di un'eviscerazione ctonia nel tentativo di raffigurare gli archetipi sedimentati dentro di noi. Nel proprio romitaggio, l'artista oltre alla terra soprattutto guardava alla luce, «l'humus in cui nasceva dentro di me l'idea di scultura era sorretto dalla luce», «la mia luce lombarda».

E sono densi di illuminazioni gli scritti di Sangregorio (Migrazione nello sconosciuto, Skira, pagg. 128, euro 18; a cura di Davide Brullo) in cui si raccoglie la parte dedicata alle riflessioni su arte e poesia, e che anticipano il catalogo ragionato in via di definizione, il tutto inscritto in un rilancio della Fondazione di Sesto Calende come sede di studio ed espositiva per l'arte contemporanea, funzione naturale per un luogo di grande magia. D'altronde, Sangregorio aveva compreso che, esonerata «dagli umilianti servizi temporali di rappresentare e imitare, la scultura dei nostri giorni è già afflitta dalla noia della libertà», appiattita nei whitecube delle gallerie e investita di concetti a lei estranei dai critici, non è più a casa sua, è «in casa di cura».

La si può ancora trovare «nelle recinzioni degli orti nella campagna rumena, le stesse che hanno fornito sicuri motivi al contadino Brâncusi emigrato a Parigi» o nelle pietre dei sentieri di questo eremo silenzioso, eretto secondo i dettami di Alvar Aalto e che guarda il tramonto di un'epoca.

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