Deve esserci qualcosa di strano, sarà forse quel vento che ogni tanto soffia giù dal Sacro Monte, ma Varese, e tutto quello che gli gira intorno, mi sembra il rifugio, la baita dove trovano spazio, idee, esistenza, coloro ai quali la vita piace dolce e improbabile, pazza ma di una follia geniale mai aggressiva. Potrei dire Pozzetto come Boldi, Chiara e Della Porta Raffo, Salvi Francesco, Bruno Lauzi, Fo, gente di passaggio e di passeggio, con i quali scoprire il senso delle cose. Vivere. Nanni in quanto Svampa, nel varesotto, sito di Valtravaglia, aveva portato le masserizie milanesi, causa conflitto bellico: «Grazie alla guerra ho fatto una bellissima infanzia», non certo tradendo la matrice della metropoli, nel dialetto di sicuro. Milano tornò a essere la scuola ma la terra attorno al lago, la sponda magra, restò la sua baita, smagrito nel viso, quasi un profilo, un'ombra di uomo, un gufo potrei scrivere e si comprende perché. «Non digerisco i digestivi», questa frase non era soltanto una battuta, era la sua essenza, la chiave di lettura per comprendere il tipo, la sua intelligenza, la sua capacità di sentire e di trasmettere. Un cantore più che un cantante di storie in dialetto, anzi lingua milanese, ormai scomparsa, travolta da neologismi blasfemi. Traduceva Brassens, maestro e ispiratore ma assai lontano nel fascino del fisico, baffi, cupa espressione però timida, riuscendo a conservare lo stesso «esprit», con la teatralità che è stata, invece, tipica di Giovanni Nanni Svampa. Lo incontrò una sola volta, Brassens non amava l'Italia che non lo capiva affatto. In verità il nonno di Svampa, vedendo in tv il francese a una serata di musica, scrisse l'epitaffio: «Quel pover om lì el dev minga fa' el cantant stasera, el g'ha de vegh di preocupasiùn». Lo incontravo con Brivio, il cantamacabro, Patruno, il cantamusico, a Milano 2 dove uno dei tre, Brivio aveva domicilio, mentre il quarto, Magni, il cantamimo, riempiva, con la sua faccia di gomma, qualunque ritrovo, non soltanto il palco.
Svampa ha riassunto mille canti da osteria, rinfrescato la canzone popolare e popolaresca, il milanese era come una lingua bandiera, nei favolosi anni Sessanta-Settanta, nei film, a teatro, in televisione e Nanni seppe conservarne la tradizione artistica, la simpatia dell'affabulazione buffa, affiancandola alla trasgressione beffarda del cabaret.
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