Si può essere una star di Hollywood e desiderare di fuggir via da Hollywood. Ma al di là della retorica con cui film e romanzi hanno mitizzato il controsenso, qualcosa di vero dev'esserci, se perfino Tim Robbins ex marito di Susan Sarandon, premio oscar per Mystic River e regista di Dead Man Walking vive parte dell'anno lontano dagli studios. Anzi: addirittura fuori del cinema. Ma sempre dentro allo spettacolo. Come dimostra la sua presenza al Festival di Spoleto, dove si presenta come regista di due spettacoli e interprete di uno show musicale.
Molti divi Usa coltivano un'attività estranea al cinema,
"Per me Hollywood è un posto che costringe a molti compromessi. Il teatro, invece, mi fa tornare alla fonte della mia creatività. In scena sono libero di creare".
Quindi non è un caso che la sua compagnia, l'Actor's Gang, sia nata prima che lei diventasse Tim Robbins?
"No, certo. Nel 1982 ero solo uno studente dell'università di Los Angeles, appassionato di punk e rock. Il teatro mi attraeva solo per i suoi contenuti sociali. Così cominciammo a leggere i classici - Cechov, Ibsen, Shakespeare, Brecht - ma ispirandoci ai Sex Pistols e ai Clash Volevamo portare quella stessa energia nei nostri spettacoli. Il successo fu tale che, 34 anni dopo, siamo ancora qui".
Un successo colto non solo nei teatri. L'Actor's Gang si esibisce infatti anche nelle prigioni, nei riformatori
"È un progetto cui teniamo molto, e per il quale siamo stati ricevuti alla casa Bianca. Io ed alcuni degli attori che sono qui a Spoleto proponiamo laboratori teatrali nei penitenziari dell California. Il teatro aiuta persone che hanno commesso crimini ad indirizzare positivamente la propria rabbia. Dà loro qualcosa di cui andare finalmente fieri. E infatti tra i detenuti si riscontra un significativo calo di episodi di violenza. Lavoriamo anche con adolescenti delle aree difficili di Los Angeles".
Anche l' Harlequino che lei porta al Festival, ispirato alla Commedia dell'Arte, è passato dietro le sbarre?
"Nasce da un workshop del Theatre du Soleil che seguii negli anni '80. Così ho spinto i detenuti ad esprimersi impersonando Arlecchino, Pantalone, Brighella... La vostra Commedia dell'Arte mi affascina moltissimo! In quell'epoca fare l'attore voleva dire rischiare molto; la vita stessa, pur di raccontare ciò che non piaceva al potere. Abbiamo il resoconto di un processo in cui un Duca italiano mise a morte tre attori. Allora mi sono chiesto: cos'era che scatenava le risate del pubblico e l'ira dei potenti? Il nostro Harlequino è un tentativo di risposta.
Una star del cinema hollywoodiano che si misura con la più italiana delle tradizioni teatrali
"Ne ho parlato con Dario Fo. Lui mi ha incoraggiato. Ora sono curioso di vedere come reagirà il pubblico".
La sua seconda proposta al festival è 1984, da George Orwell. Un testo ancora attuale?
"Profetico addirittura. In un mondo in cui il perpetuarsi della guerra è giustificato dalla lotta al terrorismo, e la libertà di parola è talvolta solo un ricordo, Orwell ha ancora molto da insegnarci. Per questo l'abbiamo ambientato in un ring: per immergerci dentro il pubblico, tenendolo avvinto ai suoi temi. E anche per ridurre scenografia e costumi all'osso: i nostri spettacoli viaggiano in valigia".
Ma la vera sorpresa è stato vedere Tim Robbins imbracciare la chitarra, cantare canzoni proprie ma anche celebri ballate di Billie Holiday o Woody Guthrie, in uno show sulla musica d'impegno sociale.
"Mio padre era un musicista; come anche mio fratello e mio figlio: entrambi hanno suonato con me a Spoleto. Amo la musica, incido dischi, e cerco di esibirmi dal vivo. Anche questo è un modo di esprimermi".
Quando tornerà al cinema?
"Prima tornerò al teatro.
Sto lavorando ad uno spettacolo intitolato Refugees. L'America è nata grazie ai rifugiati. Noi siamo tutti rifugiati. E io trovo che l'Italia stia dimostrandosi terra di grande umanità, nell'accogliere tanti rifugiati".
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