Come ti rinnovo «Ivanov» senza tradirne lo spirito

Al Teatro di Genova nella storia, si è alzato almeno tre volte il sipario sull'Ivanov, l'opera giovanile di Cechov forse non del tutto portata a termine, ma che rivelava un passaggio epocale anche nella carriera e nello stile dello scrittore. La società (ottocentesca) ha perso la sua spinta vitale e il proprietario terriero Ivanov affonda in una noia nevrastenica, si prosciuga le forze in una anaffettività colpevole, crudele e masochista. Cos'è che colpisce nell'allestimento di Filippo Dini? L'atmosfera di libertà degli attori, la condivisione del palco e dei camerini senza rancori, livori o egocentrismi. In scena e fuori si respira il concertato, la squadra. La qualità del lavoro la si percepisce già dalla scena iniziale: uno scherzo sadico, un gioco al massacro: una pistola puntata per inedia, cattiveria, invidia, che prima o poi dovrà sparare. Tutto è plausibile, credibile, naturale, vero. L'unica licenza di cliché Dini se la concede nella scenografia: un albero rinsecchito in proscenio (la natura).

Dopo il primo, storico, Ivanov di Ivo Chiesa (una pietra miliare), tocca a Dini, vale a dire alla generazione di splendidi quarantenni che hanno talento e che devono, fortissimamente devono, uscire imponendosi al grande pubblico.

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