Cultura e Spettacoli

Il «Tir» del camionista croato travolge il Festival della noia

Il «Tir» del camionista croato travolge il Festival della noia

Tutti per strada. Così nella vita vera del Bel Paese in crisi profonda, come al cinema che premia la disperazione «on the road», soprattutto su gomma. Perché è Tir, drammatico criptodocumentario del friulano Alberto Fasulo il vincitore del Marc'Aurelio d'Oro, all'ottava edizione del festival di Roma. Se a Venezia il Leone d'Oro è andato a Sacro Gra, docufilm sul Grande Raccordo Anulare capitolino, il trend stradaiolo si conferma all'Auditorium col riconoscimento a un film di un'ora e mezzo, girato nell'angusta cabina d'un tir, tra finzione e documentario. Eppure, pubblico e critica non avevano amato particolarmente quest'opera su un camionista, ex-professore croato alle prese con forsennati ritmi di consegna e lunghe telefonate col cellulare alla moglie lontana. Vabbè, non ci saranno stati i fischi tributati, l'anno scorso, al film di Paolo Franchi E la chiamano estate. Ma lo sconcerto aleggia, perché in concorso circolavano film più interessanti. Come Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée, favorito dai pronostici e che incassa il premio per il miglior attore protagonista, l'intenso Matthew McConaughey in corsa per l'Oscar. Benché presente solo in voce, Scarlett Johansson ha invece vinto il premio come miglior attrice per Her, commedia drammatica in cui incarna foneticamente il sistema operativo Samantha. E pazienza se, pagatissima star, s'è limitata a sfilare sul red carpet, senza incontrare la stampa. Confermata pure la tendenza «giap» col premio per la Migliore regia a Sebunsu Kodo di Kurosawa Kiyoshi. In quota extracomunitaria, Quod Erat Demonstrandum del romeno Andrei Grusznick porta a casa il premio speciale della Giuria: ha convinto il racconto sui guasti del comunismo.
Tutto a posto, allora, all'Auditorium? Anche se il primo bilancio parla di pubblico crescente, rispetto alle passate edizioni, con un 20% in più di biglietti emessi, l'impressione dell'accanimento terapeutico rimane. La kermesse capitolina chiude senza aver trovato la propria identità, col direttore artistico Marco Müller che, alla sua seconda tornata, parla di «festaval» - «Se è "festaval" vince, se è festival, perde», scandisce -, rilanciando il concetto di festa popolare e annunciando l'ulteriore slittamento delle date del prossimo festival a metà novembre, in coincidenza con quello di Torino, che nello stesso periodo inizia. Sgomita per il suo spazio vitale, insomma, la rassegna costata quest'anno 13 milioni di euro, mentre nelle casse della Capitale in default s'allarga un buco di bilancio da 870 milioni, per tacere del bilancio del festival, ancora da chiudere, dopo il mancato pagamento della quota spettante al Campidoglio. Se c'è un festival politico, d'altronde, è quello capitolino: nel Cda della Fondazione Cinema per Roma, l'ente organizzatore, siedono i rappresentanti di Comune, Regione, Provincia e poi Camera di Commercio e Fondazione Musica per Roma. Una troika che comanda e orienta: non a caso l'anno scorso vinsero cinque premi importanti film sostenuti dal Fondo per il cinema della Regione Lazio. E non a caso Müller ieri parlava di «verifica con le visioni dei soci fondatori, che dovranno orientare il festival»: il feeling tra le parti non è dei più distesi, se Flavia Barca, braccio destro del sindaco Ignazio Marino, ha commissariato il direttore artistico, vietandogli di allestire una rassegna cinefila in stile cineclub. E c'è già chi dà il direttore artistico in partenza per Locarno, sebbene debba rispettare, per un altro anno, un contratto da 120mila euro. C'è stata, in finale, la festa di veltroniana memoria? Sì e no. Sui 1330 mq di tappeto rosso, che si doveva affittare a coppie di sposi in vena di red carpet con le star, ma poi non si sono trovati sposi di novembre, il mese più piovoso dell'anno, come divi di punta hanno sfilato Scarlett Johansson, Joaquin Phoenix, Jennifer Lawrence e Jared Leto. Un po' poco. Christian Bale, annunciato ma non pervenuto? Un'occasione mancata, visto che concorreva con l'interessante Out of the Furnace. Per il resto, hanno sfilato i soliti esponenti della cinecasta romana: da Valeria Golino a Isabella Ferrari, quest'anno con un film di denuncia, perciò vestita.
La vocazione del «festaval» resta però quella di trasformarsi, per un pugno di giorni, nella più grande multisala cittadina, pronta a ingoiare dai 500 spettatori in su. Tant'è che il direttore del festival di Berlino, Dieter Kosslick, vorrebbe trasferire lo «European Film Award» nella Capitale. Questione di spazio per questo «non luogo» (così Müller) che stenta a identificare la sua collocazione sul mercato.

Ma anche la sua identità: col Tir si rischia di finire nel burrone.

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