Pier Paolo Pasolini aveva fiuto. Nel 1952, nell'antologia sulla Poesia dialettale del Novecento, pubblicata da Guanda, installa Antonio Guerra, più vecchio di lui di due anni, romagnolo di Santarcangelo, sedotto dal suo «disperato lirismo e disperato realismo». A quel tempo Antonio Guerra non era ancora Tonino Guerra. Eppure su di lui girava quella favola devota. Arrestato nell'agosto del 1944, prigioniero in Germania, nel campo di Troisdorf, Guerra, per «rallegrare e tenere compagnia a dei contadini romagnoli che conoscevano bene il dialetto», scrive poesie. Due anni più tardi, pochi mesi dopo la laurea in Pedagogia, Guerra raccoglie le poesie con un titolo, I scarabócc, e le pubblica a sue spese per i Fratelli Lega di Faenza. Lettore instancabile perché la felicità lirica si raggiunge dopo la fatica tecnica nel 1950, per gli stessi tipi, pubblica La s-ciuptèda. Tra i supporter ha un suo vecchio prof (gli rifilò 25/30 all'esame di Letteratura francese) piuttosto influente, Carlo Bo. Nello stesso anno in cui è accolto nell'aurea antologia di Pasolini, Antonio Guerra non ancora Tonino pubblica la prima opera narrativa, La storia di Fortunato, per Einaudi, con l'avallo di Elio Vittorini; riceve una folgorata lettera di Federico Fellini («Le tue poesie sono bellissime! Mi hanno fatto piangere, ridere, immalinconito, esaltato, accarezzato, turbato...») e tenta la carriera nel cinema, a Roma.
Sessant'anni dopo la fatidica antologia di Pasolini, nel 2012, Antonio Guerra non esiste più da decenni. A lasciare la dimora terrena, il 21 marzo, è Tonino Guerra, «l'Omero di Romagna», il poeta che ha rivelato e per certi versi ha creato la romagnolità, quel gusto sovrano per il sogno, quella scaltrezza nella follia, come criterio esistenziale. Soprattutto, però, Tonino Guerra è l'artefice del nostro immaginario collettivo. Poligrafo, poeta «totale», ha firmato in cinquant'anni più di un centinaio di sceneggiature. Spesso, di film indimenticabili. Se si cita sempre il sodalizio con Federico Fellini risolto in poche, mitologiche pellicole, da Amarcord a E la nave va va ricordato che è più duraturo quello con Michelangelo Antonioni, che gli frutta la candidatura all'Oscar per Blow-Up, ma c'è la sua penna in La notte, L'avventura, Zabriskie point e con Francesco Rosi da Uomini contro a Il caso Mattei e Tre fratelli mentre i suoi testi più significativi sono Kaos, per i Taviani, Il volo, per Angelopoulos e soprattutto Nostalghia per Andrej Tarkovskij. Amato da tutti (Elsa Morante: «Per me, Tonino Guerra, è un vero grande poeta»; Italo Calvino: «Tutto per Tonino Guerra si trasforma in racconto e in poesia»; Natalia Ginzburg: «Poesie come I bu non le aveva scritte mai nessuno»), ora Tonino Guerra, la cui opera è disparata e dispersa in mille piccole edizioni, ha il suo monumento bibliografico, i due tomi delle «Opere. (1946-2012)», editi da Bompiani sotto il titolo L'opera del mondo (pagg. 3136, euro 95), per la cura, davvero mostruosa, di Luca Cesari (95 pagine di introduzione). Già. Ma dove si parte a leggere Tonino Guerra, che è stato poeta, narratore bene ha fatto Cesari a esaltare il genio narrativo di Guerra e a riprendere testi ormai introvabili come I guardatori della luna, ad esempio, che finì nella cinquina del Campiello, nel 1981 , sceneggiatore, favolista, elzevirista, autore di reportage di viaggio, di un Dizionario fantastico davvero fantastico (voce Parola: «Ci sono parole che mi piacciono più degli oggetti che rappresentano»), di una traduzione in romagnolo dell'Odissea e del Cantos «contro l'usura» di Ezra Pound, e di uno slogan pubblicitario che ha fatto storia («L'ottimismo è il profumo della vita»)? Come si fa, soprattutto, a giudicare l'opera di Tonino Guerra, direbbero i critici col colbacco, nel contesto della letteratura italiana? Impossibile.
«Guerra è un grande narratore popolare del '900 che rifiuta il limite», mi dice schietto Luca Cesari. Proprio così. Guerra è al di là di ogni giudizio. Esistono romanzieri più abili e poeti più grandi (il suo amico Lello Baldini, ad esempio, di cui l'editore Quodlibet sta allestendo la raccolta delle liriche), ma nessuno possiede l'omerica originarietà e originalità di Tonino Guerra.
«Fra tanti sensibili poeti frustrati e fallimentari, egli è il solo che è riuscito ad applicare la poesia alla polis, stabilendo un governo della bellezza», ha scritto Vittorio Sgarbi. Tonino Guerra ci ha insegnato che si può vivere da poeti, continuamente. L'uomo, d'altronde, non desidera altro.
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