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Con “Spiral – L’eredità di Saw”, il torture porn torna al cinema

Il nuovo capitolo della celebre saga horror è un excursus di sadismo creativo. Film in lode del disgusto, inquietante come i precedenti, ma con aggiunta di mistero poliziesco

Il torture porn torna al cinema con “Spiral – L’eredità di Saw”

Spiral – L’eredità di Saw è il nono film di un franchise che sembrava essersi concluso ma che, alla luce di un incasso complessivo di un miliardo di dollari, pare ovvio sia stato rianimato alla prima occasione. Aggiornata la formula vincente al botteghino con la revisione e correzione della confezione, ecco pronto un ibrido tra sequel e reboot. Alla regia, Darren Lynn Bousman, già autore di tre dei film precedenti della saga.

Il modus operandi dei film targati “Saw”, compreso questo, è lo stesso dal lontano 2004: morti orribili avvengono per mezzo di elaboratissime trappole. L’asticella della depravazione si è andata alzando negli anni e ha raggiunto livelli di cui la scena iniziale di “Spiral” è la perfetta rappresentazione (nonché il climax della pellicola): un uomo si trova sulle rotaie della metropolitana, appeso alla propria lingua e in bilico su uno sgabello, proprio mentre sta per sopraggiungere un treno.

Veniamo ora alla trama. Il detective Ezekiel "Zeke" Banks (Chris Rock), figlio di uno stimato veterano della polizia (Samuel L. Jackson), inizia a lavorare con un nuovo compagno (Max Minghella) ad un caso che ricorda gli omicidi del defunto Enigmista. Qualcuno ha iniziato ad eliminare agenti di polizia non del tutto puliti, adottando uno stile che emula quello del celebre serial killer: dissemina la città di spirali rosse dipinte, si presenta in video con voce distorta e maschera da maiale, infine spedisce in commissariato pacchi dono color Tiffany, contenenti frattaglie o altro di cadaveri ogni volta diversi. Andando avanti nelle indagini, sarà sempre più chiara l'esistenza di un legame specifico tra le vittime e il carnefice.

Malgrado la bravura degli attori, i personaggi in “Spiral” sono e restano carne da macello, in maniera intuibile, fin dal principio, il che rende impossibile allo spettatore affezionarvisi.

Il tema musicale iconico accende e sottolinea i vari colpi di scena ma, alla lunga, si entra in un torpore preoccupante, in una routine splatter che rende impassibili anche di fronte ai più vistosi effetti gore. È in questo il vero risvolto terrificante della pellicola: riuscire a far assuefare al male fino al punto di generare indifferenza anziché disgusto.

Del resto in “Spiral” l’arco narrativo poliziesco serve solo a motivare ricercati "virtuosismi della mattanza".

Per fan irriducibili di quel sottogenere horror che vanta l’inequivocabile nome di torture-porn.

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