"Tradito l'eroe Bonatti" Sulla cima del K2 restano solo polemiche

Accuse alla fiction di Raiuno sulla scalata. Messner: "Scene irreali". Zanzi del Cai: "Walter è stato ridotto a un burattino egocentrico"

"Tradito l'eroe Bonatti" Sulla cima del K2 restano solo polemiche

Il film K2 –- La montagna degli italiani, in onda lunedì e martedì scorsi su Rai Uno, è stato un'occasione sprecata per fare chiarezza su una vicenda per troppi anni oscura e per rinfrescarci la memoria sul primo moto d'orgoglio nazionale (datato 1954) dopo le batoste della seconda guerra mondiale. Non solo. Un'impresa eccezionale come quella, in cui l'Italia aveva chiamato a raccolta i propri migliori alpinisti (salvo eccezioni come quella di Riccardo Cassin, rimasto a casa) per scalare il più arduo degli 8000 nonché seconda montagna della terra, è stata ridotta al grottesco. Siamo certi che ebbero più presa sull'opinione pubblica e sul costume nazionale i cinegiornali di allora girati in povertà di mezzi (come attestano i tanti bar e ristoranti che ancor oggi portano il nome della grande montagna del Karakorum) di quanto è stato in grado di fare la neonata fiction della Rai. Se gli italiani degli anni '50 avessero potuto sedersi davanti alla tv lunedì e martedì sera, probabilmente, avrebbero scelto nomi diversi anche per il proprio cagnolino.
Ne sono convinti anche Reinhold Messner, Rossana Podestà (compagna di Walter Bonatti) e Luigi Zanzi (uno dei tre saggi della relazione del Cai del 2004 che “indagò” sui lati oscuri della spedizione), i quali bocciano senza mezzi termini la fiction in due puntate andata in onda sulla rete ammiraglia della Rai. «La mia impressione – sottolinea Zanzi - è che questa fiction abbia diminuito e ridotto in termini risibili una grande impresa alpinistica. Non è stata adeguata al tema per due motivi: prima di tutto se fai una fiction alpinistica devi sapere cos'è l'alpinismo d'alta montagna, mentre qui sembra che i protagonisti non siano mai saliti neanche su una collina. I movimenti, i passi, le cadute sono palesemente irreali. In secondo luogo, se anche è vero che una fiction ti lascia margini ampi di libertà, quando si fa intendere di essersi attenuti ai documenti di ricostruzione non puoi fare quel che ti pare e piace. Bisogna avere il coraggio della storia. Di racconti immaginari ce ne sono stati tanti. Manca invece il coraggio di lasciar parlare i fatti. Per non dire delle nuvole che volano via a velocità supersoniche, segno preciso di chi non sa cosa sia la montagna vera».

Un'altra caduta rilevante di questo K2 fatto in casa è l'ambientazione: la pellicola è stata girata sulle alpi austriache, e si vede: «Attorno al K2 – precisa Reinhold Messner – ci sono solo morene glaciali, ghiacciai, e cime a perdita d'occhio senza alberi né abitazioni per centinaia di chilometri. Nei campi lunghi di questa fiction, invece, quando lo sguardo degli scalatori si proietta dalla montagna al fondovalle, si vedono le foreste e i masi delle montagne dei dintorni di Innsbruck!».
Messner lo confessa: «Nella prima puntata mi sono persino addormentato prima della morte di Mario Puchoz, per risvegliarmi subito dopo. Sono stupito io stesso: non mi è mai successo, è così raro l'alpinismo in TV che non posso perdermelo!». Poi ci sono i personaggi. «Gli attori – continua Messner – quando cadono sembrano degli ubriachi. Bonatti viene presentato come un eccentrico concentrato sul proprio successo personale, mentre nella realtà sappiamo che fu fondamentale proprio per il gioco di squadra e che era convinto che il successo di quella spedizione passasse proprio attraverso il lavoro di tutti». «Bonatti viene ridotto a un fantoccio che fa il monello – gli fa eco Zanzi - un burattino che si diverte a fare il primo della classe, ovvero il contrario di quello che era, cioè un giovane convinto della necessità del lavoro d'équipe. L'ha ripetuto per anni e ora, in questa fiction, sembra quello che voleva far di tutto per andare in cima. La figura di Bonatti è stata tradita».

In mezzo a questo disastro cinematografico qualche sprazzo di luce nell'aver mostrato, quanto meno, che la figura di Bonatti, in effetti, è stata decisiva per il successo di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli: è stato lui a portare le bombole che, poi, hanno permesso ai due di arrivare in vetta.

«La figura che viene restituita al meglio – e su questo concordano sia Zanzi che Messner – è quella di Ardito Desio, il capo spedizione, geologo e scalatore, grazie anche a una bella interpretazione di Giuseppe Cederna». Dettaglio non trascurabile, riferisce Messner, il fatto che Eric Abram, protagonista ancora vivo di quella bella pagina di storia alpinistica, non abbia riconosciuto nel film la “sua” spedizione.

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