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"Trainspotting 2", per chi ama "drogarsi" di malinconia

Dimenticate la dirompenza del primo film, che fece epoca. Il sequel è un po' debole, votato interamente al rimpianto e alla nostalgia

"Trainspotting 2", per chi ama "drogarsi" di malinconia

"Trainspotting 2", di Danny Boyle come il primo, è un'operazione nostalgia che solo lasciando trascorrere il tempo dentro e fuori dallo schermo, facendo sì che invecchiassero assieme i protagonisti e gli spettatori, poteva compiersi appieno. Eppure una così lunga attesa meritava un risultato più incisivo.

A vent'anni esatti dalla sua rocambolesca fuga dalla Scozia con sedicimila sterline nella borsa, Mark Renton (Ewan McGregor) si ripresenta a Edinburgo, sul luogo del delitto. Si è ripulito, ha tentato un progetto di vita borghese, poi fallito. Quanto ai suoi compagni traditi, Simon "Sick Boy" (Jonny Lee Miller) vive di ricatti a sfondo pornografico insieme a una ragazza bulgara, mentre Spud (Ewen Bremner) abita in un appartamento fatiscente con la volontà di farla finita. "Franco" Begbie (Robert Carlyle), intanto, è appena evaso di prigione e non vede l'ora di vendicarsi.

"Porno", il sequel letterario di "Trainspotting", viene ripreso solo in parte dal film, che va in altre direzioni. E' indubbio che la pellicola si ponga in maniera parassitaria rispetto alla fama di quella che segnò una generazione, ma va dato atto che le scene del primo titolo sono riproposte in maniera centellinata e con grazia. Viene tolta qualche curiosità riguardo a cosa sia accaduto in questi ultimi vent'anni ai protagonisti, ma la narrazione non affascina, non coinvolge, non resta addosso. Purtroppo si permette, invece, di aggiungere particolari su zone d'ombra che il film precedente aveva lasciato volutamente inesplorate.

Tanto "Trainspotting" era originale, fresco e sovversivo, quanto questo secondo è pregno di una malinconia ridondante. Allo stato allucinogeno di allora si è andato sostituendo il mondo reale, in tutta la sua quieta brutalità. Non ci sono più, al centro della scena, ventenni drogati ma ultra quarantenni che vivono di ricordi come se fossero prossimi alla fine.

L'opera del 1996 era cinematograficamente potentissima, raccontava la dipendenza dall'eroina in un modo mai visto prima, più che coraggioso, esagerato e spietato. Dal punto di vista visivo aveva distorsioni affascinanti e un montaggio creativo che si accompagnava a una colonna sonora unica.

Nonostante fossero in un mondo imputridito dall'eroina, i protagonisti del primo film avevano una vitalità e una propulsione al futuro che questi del sequel proprio non conoscono. Dal confronto col passato, hanno capito che, per quanto vadano ripetendosi il mantra di scegliere la vita, sono nati col talento non per quella ma per la dipendenza, una forma mentis da cui non si esce mai del tutto, una predisposizione che con l'età si può imparare ad aggirare e ingannare, sostituendo le manie autodistruttive con valvole di sfogo positive e iniziando a farsi di qualcos'altro, magari di nostalgia.

Certo, il film presenta situazioni grottesche, strappa qualche risata, ma l'intreccio non brilla.

A livello di empatia, stavolta però qualcosa può scattare con i protagonisti.

In diversi si riconosceranno nei loro cuori disillusi, gonfi di rimorsi, di rancore, di decisioni sbagliate e di conti in sospeso e, perché no, nel loro vezzo di ripercorrere ricordi strazianti in maniera un po' tragicomica grazie all'aiuto, salvifico, dei veri amici.

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