"Troverò fondi alla Scala Il ritorno di Muti? Sarebbe un vero sogno"

Parla il sovrintendente appena «designato»: «Sono pronto alla transizione con Pereira»

"Troverò fondi alla Scala Il ritorno di Muti? Sarebbe un vero sogno"

Come si è deliberato nel cda di venerdì, al Teatro alla Scala cambiano i vertici. Dominique Meyer arriva (dall'Opera di Stato di Vienna) nel maggio 2020 nel ruolo di sovrintendente designato, lavorerà in modalità coworking con l'attuale sovrintendente Alexander Pereira che uscirà definitivamente di scena nel giugno 2021. Una transizione morbida che prevede - dunque - la compresenza dei due manager. Meyer programmerà le stagioni che partono dal 2022, mentre Pereira veglierà sui lavori in corso fino a quell'anno. La divisione di compiti dovrebbe assicurare una conduzione senza conflittualità.

Proprio sicuro? Non la preoccupa questa coabitazione?

«Per niente. Ho sempre avuto dai due ai tre anni di preparazione prima di essere sovrintendete a pieno titolo. Trovo che sia una soluzione intelligente, la migliore. Qui a Vienna, per esempio, il mio successore è stato designato tre anni fa. Io stesso, venni nominato a Parigi con due anni d'anticipo. Semmai non troverei normale tuffarmi nella piscina senza preparazione. La fase che mi aspetta servirà per conoscere il teatro. Che non è solo un palazzo, è fatto di persone, e vanno conosciute, ci vuole dunque tempo. È determinante incontrare la gente, capire il pubblico e analizzare i conti, vedere la politica dei prezzi dei biglietti e abbonamenti. Studiare regole e abitudini».

A proposito di conti. Viene da un teatro in gran parte sostenuto da soldi pubblici. Alla Scala solo 1/3 del bilancio deriva da Stato, Comune e Regione. Preoccupato?

«L'Austria è un paese con pochi milioni di abitanti e Vienna non è città con grandi imprese come Milano, infatti non c'è una grande tradizione di donors, non possiamo contare sulla defiscalizzazione, neppure in piccola parte. Tuttavia per i festeggiamenti dei 150 anni del teatro abbiamo finanziato tutto con capitali privati. Trovai una situazione diversa al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi che viveva al 100% di sponsor essendo una società privata».

Quindi non è nuovo al fund raising.

«No, e so che alla Scala sarà una parte importante del mio ruolo. Lo farò volentieri e con energia».

Venerdì, alla notizia dell'incarico, ha detto che ama e ammira la Scala. Cosa in particolare?

«L'atmosfera che fiuti non appena entri. Adoro quella sala bellissima, così ben rifatta, senza esagerazioni. In quella bellezza si sente la storia del teatro. Penso a Verdi, Toscanini, Callas, e Giulini che per me era un dio. Mi piace andare nel retropalco, attraversare quei corridoi, avverti tutto il passato. Conosco la Scala dai tempi di Abbado».

Come spettatore intende?

«Come spettatore, ma sono venuto anche per audizioni, per esempio per l'Orchestra Cherubini di Riccardo Muti. Ricordo quei giorni con Muti, Angelo Negri e i professori dell'orchestra».

Talvolta potremmo rivedere Riccardo Muti alla Scala?

«Sarebbe un sogno. So bene i problemi che si sono avuti nel passato. Ma penso che debba esserci un rappacificamento».

Cosa o chi altri conosce del mondo Scala?

«Il direttore generale Maria di Freda, ci conosciamo da 20 anni. Poi il direttore di coro Bruno Casoni, abbiamo lavorato assieme a Parigi per opere italiane. Anche alcuni professori d'orchestra».

Quanto conosce il direttore musicale Riccardo Chailly?

«Abbiamo lavorato una sola volta, quando era al Concertgebouw di Amsterdam. Non ci conosciamo tanto bene, ma in questi giorni ci siamo parlati, abbiamo chiacchierato un po'. Mi è piaciuta la dichiarazione simpatica che ha rilasciato venerdì sera».

L'incarico di designato parte alla metà dell'anno prossimo. Prima d'allora?

«Farò comunque la spola Milano-Vienna».

Viene da un teatro di repertorio e approda in uno che lavora per stagioni. Pronto a cambiare modus operandi?

«Mi presentano come uno che nella vita ha fatto solo teatro di repertorio. In realtà, solo a Vienna ho fatto questo tipo di teatro, sia a Parigi sia a Vienna ho lavorato per stagioni».

A proposito: quanti cartelloni ha fatto fino ad ora?

«Sono alla 29esima stagione di un teatro d'opera. Aggiungo: ne ho viste di tutti i colori. Non sono nato ieri».

Quanto conosce l'Italia?

«Bene, altrimenti non avrei accettato l'incarico. In Italia ho fatto più di 50 concorsi di canto e spesso sono stato presidente di giuria».

Quanto conosce Alexander Pereira?

«Abbiamo già lavorato assieme per coproduzioni quando io ero a Losanna e lui a Zurigo. Ricordo poi l'Arianna a Nasso qui a Vienna con Pereira nei panni del Maggiordomo, lo invitai per tre stagioni di seguito».

Viene da studi di economia. Come è arrivato ala musica?

«L'amore per le cose non viene dagli studi. Ho scoperto l'opera tardi perché la mia famiglia non aveva interessi musicali. A 18 anni andai a Parigi con mio fratello e decidemmo di consumare tutto quello che offriva la città. Andai all'Opéra, ero su, al quarto piano, scomodissimo. Andava in scena Parsifal, opera corta no? Non posso descrivere l'amore che nacque subito. Una fascinazione indescrivibile. Tutto partì da lì. E ancora oggi, quando vado all'Opera il mio sguardo va lassù: da dove partì tutto».

Come si spiega questo italiano fluido?

«Amo la lingua italiana».

Quante altre ne conosce?

«Tre. Più il viennese, che è un tedesco molto particolare, un po' pittoresco come per voi il napoletano. A proposito: mi scuso per la erre moscia».

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