Cultura e Spettacoli

Trucido, ma segnò un'epoca. Vita ed eccessi del Monnezza

Dall'Actor's Studio ai poliziotteschi, tra coca, sesso libero, talento e battute diventate di culto: la vera storia di un cubano a Cinecittà

Trucido, ma segnò un'epoca. Vita ed eccessi del Monnezza

In Italia negli anni '70 andavano di moda i film western e quelli sui banditi, e lui voleva entrare a far parte di quel giro, dove uno poteva assaltare banche e diligenze e veniva persino pagato per farlo. Ma c'era un problema; i produttori lo consideravano un attore impegnato e dicevano: «Ma chi ci crede a Tomas Milian che fa il cowboy o il cattivo?».

C'è un Tomas Milian - pre Monnezza, pre sganassoni e parolacce - che molti non conoscono ma che emerge dalle pagine della sua autobiografia, scritta con Manlio Gomarasca, Monnezza amore mio (Rizzoli, pagg. 352, euro 15) . .. Quello che se la dà a gambe da Cuba il 5 gennaio 1956, undici mesi prima che arrivasse Fidel Castro, fuggendo da una «non vita fatta di feste e fidanzate». Se ne va a Miami, senza sapere una parola d'inglese, puntando l'Actor's Studio di New York, dove con la sua sfrontatezza conquistò Lee Strasberg e Elia Kazan (seduto fianco a fianco a Marilyn Monroe) e entra nel giro del cinema intellettuale e della commedia off Broadway, applaudito da Jean Cocteau e da Gian Carlo Menotti, che lo porta in Italia al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Bello, strafottente e senza peli sulla lingua, pronto a concedersi alle donne (tante) ma anche agli uomini (nel libro racconta con la solita ironia le sue fellatio) conquista la borghesia romana, anche se l'anima del Monnezza emerge da alcuni suoi comportamenti... Ad esempio, ospite di un ricco conoscente, viene scacciato perché getta nel camino, per scaldarsi, due preziose sedie del '700; o si presenta per «colazione» da una principessa alle nove del mattino con una scatola di brioche.

Nella scuderia di Franco Cristaldi è attore apprezzato e seguito, ma il contratto con il produttore scade, e finiscono anche i soldi, e quindi arrivano le sirene dei western e dei poliziotteschi di cui si parlava all'inizio. Nel 1966 mise in giro la voce che avrebbe accettato un western per pochissimi soldi ed eccolo in Spagna a girare The Bounty Killer, poi seguito da pellicole come Tepepa con Orson Welles, Vamos a matar companeros di Corbucci e la serie di Provvidenza (un film fu girato da Claude Chabrol).

Dopo il successo di Milano odia: la polizia non può sparare (1974) di Umberto Lenzi, Milian interpreta Roma a mano armata (1976), sempre di Lenzi, dove recita il ruolo del feroce bandito detto Il Gobbo. C'è la scena in cui il bandito si ferma a fare benzina ma, poiché non ha soldi, fugge sgommando davanti al benzinaio . Qualcosa non lo convince così si inventa sui due piedi una battuta. Chiede al benzinaio: «Come te chiami te?», «La Pira Galeazzo», recita il copione, e lui spara: «A La Pira Galeazzo, siccome nun c'ho una lira, t'attacchi ar cazzo». Lenzi teme la censura, ma Milian si apposta in sala il giorno della prima per vedere l'effetto che fa. «Quando arrivò il momento, il boato del pubblico fu strepitoso, quasi un coro da stadio. Quella battuta mi aprì la strada...». Ma il grande successo, con il suo personaggio più noto, arriva proprio nel 1976, con Il trucido e lo sbirro di Umberto Lenzi. Fu lo stesso Milian a ribattezzarlo Monnezza e a inventargli il look «soprattutto il trucco molto accentuato, soprattutto sugli occhi, con il kajal, perché con lo sguardo esprimo il 99 per cento delle mie emozioni e gli occhi, tra il nero dei capelli ricci, della barba e dei baffi, finivano per sparire. Poi passai ai vestiti. Siccome volevo che appartenesse alla classe operaia, optai per una tuta celeste con chiusura lampo, che non divideva il corpo in due come succede con pantalone, cintura e camicia. Da lì passai ai piedi e scelsi le Adidas, con le tre strisce, per scappare meglio dalla polizia».

Insomma il Monnezza faceva da corazza contro la vita e il dolore. A Cuba aveva avuto un'infanzia segnata dall'indifferenza della madre e dal suicidio del padre, a Roma riempì quel vuoto con i sentimenti di un personaggio «che era migliore di me». Questa simbiosi con er Monnezza aveva però un risvolto poco piacevole. «Stavo perdendo i capelli, mangiavo e bevevo come un dannato e mi cresceva la panza.

Smisi di uscire di casa perché il mio essere Tomas non interferisse con l'essere Monnezza».

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