Le energie immaginifiche del milieu culturale italiano dibattono su una questione: Torino, Milano o entrambe? A maggio 2017 ci saranno quasi per certo due fiere del libro, magari a pochi giorni di distanza. Voi che farete, dove andrete? Tra gli editori, quattro flussi d'opinione: i nostalgici, i pragmatici, gli ecumenici e gli indifferenti.
I più agguerriti paiono proprio i primi, i nostalgici Torinofili, categoria cui appartengono Elliot e Neri Pozza. "Sosterremo ancora Torino, perché che dopo quasi trent'anni di fiera venga scippata in maniera così arrogante di un'iniziativa che ha tanto dato a editori e lettori non mi sta bene", dice Loretta Santini, direttore editoriale Elliot. "In più, l'idea di svolgere contemporaneamente i due eventi, costringendo alla scelta, è un ulteriore segno di prepotenza. Non sono tanti quelli che possono permettersi di seguire due fiere. Spero che Torino sia concorrenziale dal punto di vista dei costi. Lo stato d'animo degli editori indipendenti è di grande contrarietà, tristezza e rabbia. Ora siamo nella fase di pura idealità, ma anche se lo sconto ci fosse e Milano fosse più vantaggiosa, per come sono state gestite le cose non ci andrei mai: almeno questa edizione, per una questione di principio, la faremo a Torino. A Milano fate senza di noi". E Giuseppe Russo, direttore editoriale Neri Pozza, rincara la dose (ci ha scritto sopra anche un lungo post sulla sua pagina Facebook): "Restiamo a Torino. Perché la moltiplicazione dei saloni e dei festival letterari è insopportabile. Lo si motiva con la diffusione della cultura anche in aree arretrate del Paese, ma negli anni '70 non c'era un festival e in classifica c'erano Morante e Calvino. Oggi non c'è angolo d'Italia libero e i bestseller li scrivono comici e cantanti. È la cultura, sì, ma dello spettacolo. La mia casa editrice è in pieno centro a Milano, ma la manifestazione nazionale unica dell'editoria si è sempre svolta a Torino, anche se condotta malamente. Avremmo dovuto collaborare perché migliorasse, non duplicarla".
Più concreta e legata a un futuro possibile è la posizione dei pragmatici, che valutano la partecipazione a seconda di costi, offerta, progetto: "La valutazione - commenta l'editore Florindo Rubbettino - deve essere solo pragmatica. Un cambiamento rispetto a Torino per noi sarebbe un salto nel buio, ma siamo aperti. Certo con Milano andremmo là dove l'offerta culturale è già elevata, mentre a Torino il Salone è di sicura attrattività e per noi è sempre stato positivo. Saremo molto pratici nel valutare le offerte delle due piattaforme, perché partecipare a entrambe è eccessivo. Si andrà a una divisione tra piccoli e grandi: il che è un danno, perché di fiere settoriali ce ne sono già troppe". La linea è più o meno la stessa per Codice e il suo fondatore, Vittorio Bo: "Torino o Milano? Dipende da quanto costano. Dal primo anno sono stato al Salone: prima da osservatore, poi con Melangolo, Einaudi, Codice. So che l'anno prossimo costerà di meno e sarei orientato per Torino, per una questione affettiva e di tradizione. Ma se le fiere fossero distanziate nel tempo, diverse dal punto di vista concettuale (Torino potrebbe davvero diventare, grazie ai ministeri, un mercato sulle grandi pratiche per la lettura, sugli esempi internazionali) e avessero costi accettabili, andrei a entrambe".
Ecumenica e razionale la posizione di Elisabetta Sgarbi e della sua neonata Nave di Teseo, che orienta la prua verso il dialogo: "Non entro in questa poco edificante guerra comunale che sta catalizzando il dibattito culturale estivo e di cui non importa nulla ai lettori. Non si tratta di quale città buttare giù dalla torre. Bisogna trovare un accordo sui tempi di svolgimento delle due fiere e, nel caso, sul loro carattere e identità, nell'interesse delle due città, dei lettori e dell'editoria. Se questo accordo, volto a non disperdere le energie ma a focalizzarsi sul bene dei libri, si trovasse e fosse soddisfacente per entrambe, parteciperei a entrambe. Altrimenti, perché dovrei partecipare?".
A chiudere il corteo gli indifferenti: una posizione all'apparenza opaca, ma colma di lucidità. Ben la esprime l'editore Gianluca Barbera: "Io non ero interessato quasi neanche a Torino. Non l'ho mai ritenuto indispensabile e ci ho sempre rimesso. Mi interesserebbe una fiera in cui si dà spazio a cessione e acquisto di diritti, ma non c'è". E ancor più fuori se ne tiene Cesare de Michelis, che ha appena ricomprato la sua Marsilio da Mondadori per 8,9 milioni di euro: "I precedenti di Torino non sono entusiasmanti. Per ben due volte in 30 anni ha sfiorato la catastrofe. Anche Milano con BookCity non ha fatto granché per originalità. Non ho passione perciò per l'argomento: non se ne facesse nemmeno una, di fiera, sarebbe meglio.
Sono riti obbliganti, cui anch'io ho partecipato perché faccio parte della comunità. Ma che siano riti identitari non mi pare proprio. Facciano quel che vogliono: non ho ragione di non andarci, ma non voglio spendere nemmeno un minuto a discuterne. Appartengo a una zona grigia dell'editoria".
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