L'Italia non è mai stata - al contrario della Francia e degli Stati Uniti - terra di veri scrittori maledetti. Là il poète maudit, lì i beat. Sì, Dino Campana... Ma non abbiamo avuto né i Wilde né i Rimbaud né i Charles Bukowski... Però abbiamo avuto Emanuel Carnevali, nato a Firenze nel 1897, espulso da scuola accusato di omosessualità, partito ragazzo per gli Stati Uniti, la solita via crucis costellata di fame e miseria («Ho vissuto in Willoughby Street, a Brooklyn, per qualche mese - forse i mesi più oscuri della mia vita. Spalavo la neve - un calvario terribile per un corpo gracile come il mio» è l'incipit del racconto «Inizio di una carriera letteraria»), anni passati a scribacchiare short stories e poesie («Vinsi il primo premio indetto da Poetry, che mi sono bevuto quasi tutto in Gin Fizz»), poi l'apprezzamento degli scrittori americani di punta in quegli anni (Ezra Pound ne scrive entusiasta, William Carlos Williams lo chiama il «poeta nero», Sherwood Anderson e Robert McAlmon lo consideravano come uno dei loro), nel 1922 è colpito da un'encefalite letargica, il ritorno in Italia, gli ospedali e la case di cura, la morte a Bologna - quarantacinquenne, fallito e di fatto inedito - nel 1942.
O meglio: quasi inedito. Sulle riviste americane, lui in vita, esce qualche racconto e le poesie. Scrive in inglese, ma pensa come un italiano e vive come un solitario. Poi la scoperta post mortem: Adelphi nel 1978 pubblica il suo romanzo, Il primo dio, insieme con poesie, racconti e brevi saggi. Conosciuto da pochi, è amato da tutti quelli che lo hanno letto. E ogni tanto ritorna: alcune cose sono pubblicate dalle insostituibili edizioni Via del Vento, quest'anno negli Usa Andrea Ciribuco ha pubblicato The Autobiography of a Language: Emanuel Carnevali's Italian/American Writing (State University of New York Press) e ora escono i Racconti ritrovati, con testi inediti per l'Italia, per D Editore (pagg.
156, euro 13,90, a cura di Emmanuele J. Pilia). Che sarebbe meglio dire dimenticati. Ma, come aveva intuito Carnevali, «I poeti lasciano i loro escrementi ovunque, come i passeri disperati». E prima o poi qualcuno ci incappa.
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