Unire tecnica e umanesimo è un'«impresa» Ecco come Pirelli riuscì nel miracolo

Un volume celebra la storica rivista del gruppo, fra grandi firme e fotografi

Stefania Vitulli

«Saldare la cultura tecnico-scientifica e la cultura umanistica», attraverso articoli e inchieste commissionati alle firme internazionali più autorevoli dell'epoca fra il 1948 e il 1972, tra gli altri Dino Buzzati, Camilla Cederna, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Umberto Saba, Leonardo Sciascia, Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti e Umberto Veronesi: ecco lo scopo di Pirelli. Rivista d'informazione e di tecnica. Una rivista diretta da Arrigo Castellani che, sebbene portasse in testa il nome di un brand aziendale, si proponeva come punto di riferimento politecnico di quegli anni, creando una cultura della comunicazione industriale. Un vasto programma che oggi forse darebbe prima di tutto vita a un blog o a un forum, mentre negli anni del Dopoguerra fece fremere la creatività e lo slancio verso l'innovazione delle pubbliche relazioni in embrione in una delle prime aziende illuminate italiane.

La collezione completa della rivista, oggi conservata presso l'Archivio Storico del Gruppo, è costituita da 131 numeri originali del magazine e da un fondo fotografico di circa 6000 immagini: 3500 le fotografie a corredo degli articoli originali e quasi 2500 le inedite. Ecco perché ha avuto un senso portare alla luce questo tesoro nascosto con un'operazione in volume, che ha selezionato parte del materiale inedito per la pubblicazione di Umanesimo industriale. Antologia di pensieri, parole, immagini e innovazioni, in uscita in questi giorni e che stasera verrà presentato a Milano a cura di Fondazione Pirelli e di Mondadori al Teatro Franco Parenti, alle 19. La testata della rivista, anche considerata alla luce dell'oggi, dichiarava subito, come sottolinea nell'introduzione al volume Marco Tronchetti Provera, un progetto editoriale verticale: «Un dialogo costante tra le esigenze della téchne (il sapere e il saper fare) e la comprensione delle trasformazioni in corso degli assetti politici, economici e sociali».

Ma la rivista Pirelli era anche bellezza, come si deduce appena aperte le pagine del volume: reportage di maestri della fotografia come Arno Hammacher, Pepi Merisio, Ugo Mulas, Federico Patellani, Fulvio Roiter, Enzo Sellerio e illustrazioni firmate da artisti come Renato Guttuso, Riccardo Manzi o Alessandro Mendini creavano doppie indimenticabili, camei che rendevano le sezioni tematiche da collezione, espressione che, decaduto l'analogico e il cartaceo, sembra aver perso il suo sex appeal (salvo poi riconquistarlo con i vinili fake). Come tutto ciò che non scade, l'antologica presentata in questo volume rivela molto della cultura di quegli anni, ma tradisce anche parecchio di quella presente: non si ebbe in quegli anni, seppur con il marchio Pirelli, nessun timore ad affrontare, grazie alle firme illustri cooptate per l'impresa, temi anche distanti tra loro come viaggi, sport, costume e consumi di massa, politica, scienza e tecnologia, tutela dell'ambiente e del paesaggio, architettura e design, arte e letteratura.- Con tono febbrile, severo, intelligente, autorevole.

Non solo dunque un'operazione di marketing perfettamente riuscita per promuovere il marchio come pioniere del pensiero trasversale, ma un entusiasmo verso

la complessità che oggi si rivela merce rara e che a partire dalla fine degli anni Novanta ha perso del tutto il proprio privilegio nella comunicazione aziendale, per lasciare il posto al dibattito social anziché sociale.

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