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Valerio Magrelli e il suo sciamano: Federico Fellini

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Valerio Magrelli e il suo sciamano: Federico Fellini

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T re dati diventano un dato di fatto. Prima ne parlò il poeta Antonio Porta: «Passeggiando per Roma, Federico Fellini mi disse, Non puoi non leggerlo». Episodio estetico confermato da Nico Naldini, cugino di Pasolini: «Il primo che mi aveva fatto il nome di Magrelli era stato Federico Fellini». L'occasione fa l'editore astuto: in Francia il primo libro di Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, pubblicato da noi nel 1980, per Feltrinelli, è ornato da un aforisma felliniano perentorio: «Non possiamo non leggere Magrelli». Se sui rapporti tra Fellini e Andrea Zanzotto e Tonino Guerra si sa pressoché tutto, il legame tra il geniale regista e Magrelli rimane un enigma. «Tutto comincia con una raccomandazione e un disastro», spiega Magrelli. Cioè? «Al principio ho studiato cinema, prima a Roma poi a Parigi. Mi iscrivo al Centro sperimentale di cinematografia di Roma, ma arrivo ultimo. Faccio diverse domande, niente da fare. Allora ragiono all'italiana, tentando la via della raccomandazione. Mia madre, medico omeopatico, una che negli anni Sessanta girava con gli aghi in testa facendo scappare i miei amici che pensavano che io vivessi in una specie di famiglia Addams, era amica e assistente di Fellini. Il giorno dopo, alle ore nove, ero sul set del Casanova. Umanamente fu un disastro: ero l'ultimo degli ultimi, il brutto anatroccolo, durai due mesi». Poi il brutto anatroccolo diventò il cigno della poesia italica.Qualche anno dopo Casanova, Magrelli ha già abbandonato il cinema per la poesia. «Un pomeriggio di luglio mi telefona Fellini, invitandomi a seguire per due settimane i lavori di Ginger e Fred. Ero accanto a lui, sul trono, in quel sistema di gironi infernali che era il suo set. Naturalmente, non gli dissi nulla della mia prima esperienza durante Casanova». La vicenda che lega Magrelli a Fellini è il cuore del nuovo libro del poeta romano: Lo sciamano di famiglia, sottotitolo «Omeopatia, pornografia, regia in 77 disegni di Fellini» (Laterza). Lo sciamano è Fellini? «Diciamo che sciamano è la parola che centra il grande regista. Un uomo mitissimo, gentile, addirittura cerimonioso, che coltivava la menzogna ed era di una inquietante profondità. Un giorno ebbi la percezione che volesse uccidermi...». Ma va là... «Davvero. Era un improbabile Ferragosto e Fellini mi invitò nel suo studio, enorme e buio. Lui era lontano, indistinto, faceva la vocina della donna di servizio che riservava agli scocciatori. Un gigante che parla con la voce di Psycho. Ho avuto la certezza che sarei morto».Intano, Magrelli se ne esce con anche con un «Viaggio sentimentale nella poesia italiana» e s'intitola Millennium Poetry (Il Mulino): «Un canone quasi indiscutibile, che arriva fino ad Amelia Rosselli», dice lui. «Manca il Manzoni, che ritengo un narratore più grande di Balzac, ma sono allergico alla sua poesia... Sono pure scelte personali: di Pascoli ho preferito La tovaglia, di D'Annunzio la poesia sul cane del suo nulla. Mi sono sbizzarrito nel '500 e '600, con Ciro di Pers, Giacomo Lubrano, il Marino.

Ho pure trovato una bella ninna nanna in latino di Giovanni Pontano».

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