Vedi (al cinema) la Francia e ci trovi il peggio dell'Italia

Finanziamenti eccessivi, cachet mirabolanti, crisi di idee. E al botteghino si vendono 15 milioni di biglietti in meno

Vedi (al cinema) la Francia e ci trovi il peggio dell'Italia

La guerra è dichiarata. In Francia non tengono banco soltanto i blitz in Somalia: si spara anche sul cinema e sul sistema dei finanziamenti pubblici, che ingrassano attori super pagati e produttori mediocri, mentre le casse dello Stato sono svuotate dal meccanismo fiscale a carico del citoyen.
E la cosa ci riguarda, sia perché anche da noi una nicchia di artisti si arricchisce con i soldi dei cittadini-contribuenti, sia perché da decenni i nostri intellettuali guardano Oltralpe, magnificando il virtuosismo dell'Etat francese, prodigo di aiuti alla Settima Arte. E invece, è tutto da rifare, con 15 milioni di biglietti venduti in meno nel 2012. Tant'è vero che il Ministro della Cultura francese, Aurélie Filippetti, gauchiste fiera dell'«eccezione culturale» del cinema francese sotto tiro, per il 23 proclama gli Stati Generali, convocando i professionisti della filiera per «correggere gli eccessi del sistema di finanziamento», recita il comunicato. David Kessler, consigliere per la Cultura all'Eliseo ed Eric Garandeau, presidente del CNC, presiedono la tavola rotonda, che s'impone dopo le polemiche. Né è cosa da poco che la Corte dei Conti sottolinei come nel 2010, solo 10 film francesi hanno concentrato il 40% delle entrate, mentre il 60% dei film è stato visto da meno di 50.000 spettatori.
Ad aprire il vaso di Pandora è stato Gérard Depardieu: il feuilleton del suo esilio fiscale ha spaccato l'opinione pubblica, costringendola a guardare da vicino il tenore di vita dell'attore. Case ovunque, conti correnti pingui quanto «Gégé» e una liquidità da Paperone, trasferita in Belgio per evadere le tasse: possibile che un attore, neanche immenso, abbia cumulato tanto bendiddio? Ma la vera bomba l'ha piazzata, il 28 dicembre, il produttore, distributore e compratore Vincent Maraval, fondatore della Wild Bunch, che dalle colonne di Le Monde (non un foglio di destra) ha scritto un'articolessa intitolata: «Gli attori francesi sono pagati troppo!».
E così son venuti fuori i cachet mirabolanti di attori popolari, ma decisamente supervalutati. Come il comico Dany Boon di Giù al Nord, che ha preso 3,5 milioni di euro per Un Plan Parfait, «le cui entrate non sono sufficienti per ripagare tale salario», tuona Maraval, incassando un milione per apparire brevemente in Asterix, film da 60 milioni: quanto uno di Tim Burton. È al cinema Usa che Maraval guarda nel suo sfogo, concluso con l'appello: «Restituiamo la sua virtù al nostro sistema, unico e invidiato, eliminando i suoi vizi». Vincent Cassel ha preteso 1,5 milioni per girare Mesrine, «film che ha incassato dieci volte meno del suo costo», mentre Il cigno nero di Aronofsky aveva un budget di 226.000 euro. In sostanza, se le paghe di Jean Reno, Marion Cotillard, Gad Elmaleh vanno da 500.000 ai 2 milioni di euro, c'è poco da scherzare, se il costo medio d'un film francese si attesta sui 5,4 milioni di euro, contro i 3 milioni d'un film Usa. Così Maraval invoca un calmiere dei salari: nababbi come Daniel Auteuil (1,5 milioni a film) «sono ricchi dei soldi pubblici e del sistema, che protegge l'eccezione culturale» svela il produttore. «Finalmente un appello alla moralizzazione di certe pratiche abusive del cinema francese», risponde il regista Olivier Assayas.
Per regolare gli abusi, occorre partire dalle catene televisive pubbliche, principali finanziatrici del cinema made in France: per legge investono nei film.

Così TF1 versa 90 milioni di euro l'anno al CNC, nota il suo direttore Nonce Paolini, dichiarando: «Bisogna rivedere gli obblighi del finanziamento della Settima Arte da parte della tivù». E noi? Domani l'Agis presenta i dati del mercato 2012, però, per dire, il presidente dell'Anica, la Confindustria del cinema, è anche produttore di suo. Uno come Maraval ce lo sogniamo.

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