È un dato di fatto. Dopo l'ultimo episodio della serie tv House of Cards, in onda domani in prima serata su Sky Atlantic, non saremo più capaci di guardare il Campidoglio come prima. Un capolavoro, certo. Di cui non vediamo l'ora di vedere la nuova stagione, certo. Dall'autunno però. Perché la serie inno del machiavellismo e del politically «uncorrect» ci ha fatto saltare sulla sedia una media di tre volte a episodio, ci ha anche, come dire, prosciugato. Urge l'alleggerimento. Tanto meglio se arriva senza farci allontanare dalla Casa Bianca, o dalla televisione. E allora ecco che, domani in seconda serata, proprio in coda a House of Cards arriva la prima stagione (negli Usa sono alla terza) della comedy HBO Veep, acronimo che sta per vice presidente, degli Stati Uniti ovviamente. Creata dal genio comico italo scozzese Armando Iannucci e premiata come migliore serie comedy agli scorsi Emmy Awards, Veep è sarcastica quanto House of Cards è spietata. Il cinismo lo hanno entrambe: la differenza è che nel primo caso fa ridere.
Protagonista Selina Meyer, interpretata dalla bravissima Julia Louis-Dreyfus, una delle regine della comicità americana. Fattiva senatrice in corsa per la presidenza, sboccatissima, divorziata con una figlia, si ritrova incastrata nel ruolo forzatamente diplomatico di «numero due». Chi si aspetta una lotta intestina per conquistare la poltrona dello studio ovale si sbaglia. Meyer dovrà soprattutto contenere i danni che derivano dal suo repentino cambiamento di immagine e da doversi confrontare tutti i giorni con le bassezze della politica, i voltafaccia, le incoerenze e le incapacità di chi la amministra, le leggerezze personali, inammissibili quando si è sotto gli occhi di tutti, e del suo staff.
Julia Louis-Dreyfus, che a 53 anni ha collezionato una caterva di premi tra cui tre Emmy come migliore attrice protagonista e un Golden Globe e regge da sola tutta la serie e, impersona un politico che cerca tendenzialmente fare la cosa giusta, ma perché è la sua immagine a giovarne in primis. Il senso dello Stato arriva dopo. Per esempio, Meyer accoglie le rare e sudatissime buone notizie che riguardano le sue iniziative con un «È una cosa fantastica per me!». E quando il suo capo dello staff Amy (Anna Chlumsky) le ricorda che è soprattutto un bene, diciamo, per il Paese, la vicepresidente non si scompone affatto: «Sì, sì, sì, volevo dire quello», chiosa.
È indicativo che non si riveli mai il partito di appartenenza della vicepresidente, che sembra un po' ricordare anche fisicamente l'ex senatrice dell'Alaska Sarah Palin, candidata alla vicepresidenza Usa nel 2008. Democratici o repubblicani non importa: la serie spara a zero su entrambi, oltre che sulle lobby, sui portaborse, sul personale, sullo staff del vicepresidente, la cui inettitudine è perfettamente credibile. Un quartetto tragicomico capitanato da Amy Brookheimer tanto nevrotica ed efficiente eppure non immune ad errori, Dan Egan (Reid Scott), della comunicazione, brillante, arrogante e doppiogiochista. Insomma «una merda», riassume Meyer. Ma «proprio la merda che ci serve in questo momento», aggiunge. Gary Walsh (Tony Hale), è l'assistente personale di Selina: quello che le bisbiglia all'orecchio i nomi delle persone che incontra e la segue come un'ombra tanto che spesso è Selina a cacciarlo via. Mike McLintock, (Matt Walsh) responsabile della comunicazione, è uno dei migliori: forse per questo i suoi errori, pochi, risaltano più di quelli degli altri. A fare da collegamento con la Presidenza Jonah Ryan (Timothy C. Simons), sociopatico sempre alla ricerca di conferme e platealmente innamorato di Amy. Un collegamento a senso unico: perché Jonah comunica alla Meyer le direttive della Casa Bianca, che sembrano più ordini, e nulla più.
Grande assente nella serie il presidente degli Stati Uniti. Non si vede, e soprattutto, non contatta mai direttamente la sua vice.
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