Vendetta, tremenda vendetta. È all'insegna delle rivincite il nuovo, colorato film di Spike Lee, Oldboy (5 dicembre), che risponde a una sola domanda: perché? Perché qualcuno ha rapito - non si sa da quanto tempo, ma dev'essere parecchio - Joe Ducett (Josh Brolin), executive alcolizzato e padre negligente, segregandolo in una camera d'albergo per vent'anni? Perché Joe prima viene presentato come l'assassino di sua moglie e poi viene rimesso in libertà, non senza averlo spinto sull'orlo della pazzia? E perché Spike Lee ha impiegato così tanto a mettere in piedi questo remake del film sud-coreano diretto nel 2003 da Park Chan-wook (stesso titolo), che tanti seguaci annovera nei fan club internazionali più scatenati?
Mister Lee è noto per la sua originalità, anche quando riprende lavori altrui e pure stavolta non si smentisce: l'azione comincia in una città assediata dalla pioggia (forse New York, forse no, ma l'effetto metallico della metropoli feroce è da Grande Mela), mentre Joe vi si aggira barcollando, come ubriaco. In testa ha una cosa sola: vendicarsi. I seguaci di Spike riconosceranno le stimmate del suo cinema violento ed elegante: invece di riprendere il protagonista con la cinepresa, montata su un dolly che scorre lungo binari, Lee piazza attore e cinepresa su un'unica piattaforma mobile. Il risultato è un tentennamento parallelo, che separa l'attore da quanto lo circonda. «La rabbia può crescerti dentro per anni, ma la vendetta non aspetta. È la base più antica di molti film. Risale alla Bibbia», spiega Spike, che da quando s'è affacciato sulla scena globale ha parlato di droga (La 25ª ora), sesso (Girl 6, Jungle Fever), rabbia (Inside Man) e storia (Malcolm X, Miracolo a Sant'Anna).
Oldboy è il tipico film di vendetta. E sulla rivincita si fonda la carriera del regista afroamericano, esponente di punta del cinema indipendente.
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