Cultura e Spettacoli

"Viaggi, libri e misteri. Ecco cosa è stato per me Roberto Calasso, avventuriero metafisico"

Tedesca, scrittrice e traduttrice, Anna Katharina Fröhlich vive dagli anni Ottanta sul lago di Garda. Si conobbero alla Fiera di Francoforte nel '95

"Viaggi, libri e misteri. Ecco cosa è stato per me Roberto Calasso, avventuriero metafisico"

Elegante, cinquant'anni ma lasciandosene dietro quindici che non si vedono, una vitalità luminosa, scrittrice e traduttrice, Anna Katharina Fröhlich è tedesca, nata a Bad Hersfeld, land dell'Assia, ma vive stabilmente in Italia dalla metà degli anni Ottanta. «Mio padre, Hans Jürgen Fröhlich era pianista, critico letterario e promotore in Germania di molti scrittori italiani del '900. Passò un anno a Villa Massimo a Roma, poi, innamorato dell'Italia, comprò assieme a mia madre nel 1970 una casa sul lago di Garda, a Mornaga, a mezza strada fra Villa Feltrinelli a Gargnano e il Vittoriale degli italiani a Gardone. Io nacqui nel '71. È lì che vivo, ed è lì che siamo stati a lungo insieme, io e lui».

Lui è Roberto Calasso, e da lui Anna Katharina Fröhlich ha avuto due figli, Josephine e Tancredi, 23 anni la prima, 14 il secondo. A loro Roberto Calasso per il quale, come è noto, non era indifferente chi fosse il proprietario della casa editrice morendo, un anno fa, ha lasciato la maggioranza relativa di Adelphi: il 48 per cento. Di per sé un'investitura. Il resto delle sue quote è andato al nipote Roberto Colajanni, attualmente l'amministratore delegato della casa editrice (ha il 10%) e alla moglie Fleur Jaeggy (il 13%): e fa il 71%. Il resto è diviso tra la famiglia Zevi e l'imprenditore Francesco Pellizzi. E la domanda è: Ora, cosa sarà di Adelphi?.

«Adelphi è una parola greca che racchiude l'idea di fratellanza, sodalizio. Esprimeva, allora, la comunanza d'intenti tra i soci fondatori. E tanto più vale oggi tra gli attuali soci. Significa che nessuno può fare da solo. Roberto Calasso con quel testamento, non lasciando a un'unica persona il potere decisionale assoluto, è come se ci avesse detto: Dovete aiutarvi, collaborare, decidere assieme. Nessun azionista può fare da solo. La regola è il confronto, che è un altro modo di dire fratellanza».

E i due fratelli, Josephine e Tancredi? Cosa fanno? Che ragazzi sono?

«Tancredi studia, Liceo classico a Salò. Di fatto è molto simile a Roberto Calasso... con più capelli in testa. Sento in lui lo stesso fervore di pensiero del padre, gli stessi silenzi eloquenti, lo stesso sguardo analitico di chi vuole sempre capire. Josephine, che ha vissuto negli ultimi anni con Roberto e con Fleur Jaeggy, sta per finire uno stage di sei mesi in Adelphi. Le piacerebbe seguire le orme del padre. Credo che entrambi sentano il compito che Calasso ha affidato loro: occuparsi di Adelphi. Roberto non faceva mai nulla a caso. Era così».

Com'era Roberto Calasso?

«Nato un 30 maggio, Gemelli. Era come se avesse due nature: una più evidente, che mostrava al mondo. L'altra più nascosta, che riservava a pochi. È stato l'uomo più intellettualmente seducente che abbia mai conosciuto: è stato un avventuriero metafisico. Si ricorda che Roberto diceva di Bobi Bazlen che era l'uomo più religioso che avesse mai conosciuto? Ecco: io posso dire la stessa cosa di Calasso».

Lei quando Calasso è morto ha scritto un obituary affascinante e misterioso.

«Il logos trafigge in un atomo del tempo ciò che i rapsodi erano avvezzi a ricucire e a ripetere per fumose notti senza fine. Mi sono affidata all'antica pratica delle sortes vergilianae. Ho aperto a caso un suo libro e la prima frase su cui è caduto il mio occhio mi è sembrata perfetta. Dice tante cose di noi».

Voi come vi siete conosciuti?

«Alla Frankfurter Buchmesse, la Fiera del libro di Francoforte. Era il 1995. Io ci andavo sin dall'infanzia, con mia madre. Per noi era un appuntamento fisso: mamma aveva tradotto Seminario della gioventù di Aldo Busi in tedesco, e il suo secondo marito, Günther Maschkle, anch'egli editore, è stato uno dei massimi studiosi di Carl Schmitt; il suo terzo marito è stato Thomas Ross, appartenente alla famiglia Ullstein, fondatrice di una delle più importanti case editrici europee della prima metà del '900, e corrispondente della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Mentre mio padre, come le ho detto, è stato uno scrittore e traduttore, appassionato di letteratura austro-ungarica - Joseph Roth era il suo autore dell'anima e aveva frequentato Elias Canetti. Se vogliamo trovare un bandolo, parola che a Roberto piaceva molto, tra la nostra famiglia e Adelphi... beh, sono molti...».

Cosa accadde a Francoforte?

«Eravamo vicino allo stand di Adelphi. Roberto Calasso ci venne incontro: guardò mia madre, poi il suo sguardo rimase fermo su di me. Avevo 23 anni. Ogni anno, alla Fiera del Libro, il venerdì Calasso andava a cena al Restaurant Français con Vladimir Dimitrijevic, il fondatore delle Éditions L'Âge d'Homme. Invece quella sera invitò me. Dissi di sì».

Di cosa parlaste?

«Di libri, ovviamente. Parlare di libri è stata la prima cosa che abbiamo fatto, e anche l'ultima. In quel momento aveva appena finito di scrivere Ka. E incredibilmente mi chiese di tradurlo in tedesco... Ricordo che mi disse una cosa strana. Che le persone intelligenti non dovrebbero frequentare l'università, perché un'arida impronta accademica può essere pericolosa per le menti più aperte... Poi, per prepararmi alla traduzione del suo libro, che è una narrazione intrecciata dei miti, della storia e del pensiero indiano, mi fece spedire un enorme pacco di libri dall'India: era l'opera omnia del filologo e orientalista Max Müller. Il profumo di curry e di polvere che si sentì quando lo aprii, è un ancora oggi un ricordo fortissimo».

Quali sono i ricordi più belli che ha di Calasso?

«I viaggi in Grecia, per esempio le due estati che passammo nella casa che Patrick Leigh Fermor costruì con le sue mani negli anni Cinquanta, a Kardamili, dove poi furono sparse le ceneri di Bruce Chatwin. Sono ricordi inverosimili nella casa più bella della Grecia. Al sabato la casa era aperta ai visitatori. Roberto, i bambini e io restavamo lì, chi a lavorare chi a giocare, come se avessimo fatto parte dell'arredamento... E poi ricordo i viaggi: Parigi, Praga, Londra, e soprattutto India».

Ha mai pensato di scrivere un libro su di lui, su di voi?

«Sì. È possibile che lo scriva».

Lei ha pubblicato quattro romanzi in Germania. Mai in Italia, però. Calasso Le ha mai chiesto di pubblicare in Adelphi?

«Non è importante questa domanda. Ancora meno la risposta».

Si favoleggia della biblioteca personale di Calasso. Dov'è?

«Sono circa 60mila libri, di cui un nucleo più prezioso, diciamo storico, di un migliaio di volumi. Attualmente sono sparsi in tre luoghi: la sua casa a Milano, dove viveva con Fleur; un altro appartamento milanese adibito a biblioteca; e il suo studio in casa editrice. Gli eredi sono i nostri due figli e Roberto Colajanni, ma Calasso non voleva che la biblioteca venisse mai smembrata. Per ora, restano dove sono».

Ho saputo che, per un inventario redatto ai fini della successione, la biblioteca è stata valutata circa 1,2 milioni di euro.

«Non credo che a Roberto la cosa interessasse».

A Calasso interessava molto la casa editrice. Cosa succederà adesso alla Adelphi?

«Continuerà ad essere quella che è sempre stata. Forte del suo catalogo straordinario e pronta a pensare nuovi titoli che siano perfettamente coerenti con la sua storia. Proprio per questo sarebbe necessaria la collaborazione tra tutti coloro che hanno a cuore la casa editrice. Come lo erano Matteo Codignola, che era un pilastro di Adelphi, e come lo è Ena Marchi. Ora serve rafforzare un gruppo eccellente di persone che leggano per la casa editrice, che sappiano consigliare, trovare nuovi autori».

E crede che in questo gruppo ci sia spazio anche per i vostri figli?

«Certo. Loro ora non sono editori. Ma devono imparare a diventarlo».

Chi era Roberto Calasso? Lo può definire?

«No.

A lui non sarebbe piaciuto essere definito».

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