Cultura e Spettacoli

Un viaggio nel cantiere della memoria

Una mostra e un libro per non dimenticare la Storia scomoda

Un viaggio nel cantiere della memoria

Il 6 aprile di 80 anni fa l'Italia e la Germania attaccarono la Jugoslavia, e per l'occasione è stata inaugurata un'importante mostra online dal titolo: A ferro e fuoco. L'occupazione italiana della Jugoslavia 1941-43, accompagnata da 25 testimoniante d'epoca, 81 interviste ai maggiori studiosi dell'argomento, e da una documentazione fotografica di 200 immagini spesso difficili da guardare, a causa della loro cruda verità. La mostra è stata realizzata principalmente dall'Istituto regionale della Resistenza di Trieste, che da anni lavoro per disseppellire avvenimenti importanti e spesso oscuri del nostro passato, in collaborazione con altri istituti (troverete tutte le informazioni sul sito). La mostra virtuale, che ha ottenuto il patrocinio della Camera dei Deputati, è visitabile collegandosi al sito www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it, e illumina un periodo volutamente dimenticato, che spazza via il famoso mito degli «italiani brava gente».

Uno dei collaboratori della mostra è Filippo Focardi, professore ordinario di storia contemporanea all'Università di Padova, che qualche mese fa ha pubblicato con Viella Editore il saggio storico Nel Cantiere della memoria (pagg. 356, euro 29) un importante libro scritto per essere capito non solo dagli studiosi. Focardi ci racconta di accordi segreti, di narrazioni utilitaristiche, di desiderio di autoassoluzione, della «mancata Norimberga» italiana. Il passato è una «terra di conquista» dove spesso si cerca di piantare una bandiera per motivi davvero poco nobili, come ad esempio per costruirci sopra un falso edificio di visioni politiche distorte che serve a ingannare la gente e a creare consenso, insomma la solita vecchia storia della demagogia. Ma fare i conti con il passato è doveroso, è moralmente giusto.

Gli italiani hanno commesso gravissimi crimini in Africa e nei Balcani, dobbiamo saperlo. Molti italiani hanno rischiato la vita per salvare ebrei dalla deportazione, molti altri li hanno denunciati per impossessarsi dei loro beni. I tedeschi hanno ucciso 335 civili e militari italiani alle Fosse Ardeatine, come rappresaglia per l'uccisione di 33 soldati tedeschi in via Rasella, dieci italiani per ogni tedesco, più cinque. Gli italiani non ne sarebbero stati capaci?

Non è così: a Domenikon, in Grecia, il 16 febbraio 1943 l'esercito regio italiano, come punizione per l'uccisione di 9 camicie nere, dopo che già 43 uomini, tra partigiani e fiancheggiatori, erano stati uccisi, passarono per le armi 97 maschi tra 14 e gli 80 anni. In Africa i militari italiani hanno commesso atrocità di ogni genere, come ad esempio le migliaia di uccisioni come rappresaglia per l'attentato partigiano al generale Graziani del 19 febbraio 1937.

Lo stesso Graziani, e anche il generale Badoglio, in Libia e in Etiopia hanno utilizzato senza porsi dubbi le terribili bombe chimiche all'iprite (proibite dalla Convenzione di Ginevra nel 1925), e non sono mai stati condannati.

Ma il fascismo non era una dittatura all'acqua di rose che non ha mai ammazzato nessuno? E Benito solo un buffone con le manie di grandezza ma non crudele come Hitler, e soprattutto non antisemita? Purtroppo non è così: il fascismo era una dittatura spietata, e se non ha raggiunto gli effetti di repressione del nazismo è solo per mancanza di capacità, non certo di volontà. Mussolini era un criminale e soprattutto un antisemita convinto, che non ha avuto alcun bisogno di Hitler per perseguitare gli ebrei. Il primo numero della rivista La difesa della razza (con Giorgio Almirante segretario del comitato di redazione), è del 5 agosto 1938, tre mesi prima della Notte dei Cristalli (9-10 novembre dello stesso anno). Anzi, alla notizia di quella notte da incubo, appunto quella dei Cristalli, Benito batté il pugno sulla scrivania: «Bene! Io avrei fatto di peggio!» disse. Questo libro di Focardi smonta le mitologie, analizza gli strumenti (come ad esempio il consueto paragone tra il «cattivo tedesco» e il «buon italiano») di cui si sono serviti agli italiani sia per motivi politici, sia per far sbiadire le colpe di chi era stato fascista, ma anche per alleggerire la coscienza di tutti gli italiani.

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