La visionaria Esperanza che sposa swing e Madonna

Pat Metheny la convinse a fare la musicista. Ora, a 28 anni, èla rivelazione che mette d’accordo tutti: dal critico snob al fan del pop

La visionaria Esperanza  che sposa swing e Madonna

Semplicemente, Esperanza Spalding ha pubblicato uno dei dischi più belli del momento, Radio music society, appena arrivato tra gli evviva della critica. Per capirci, il Boston Globe ha messo in pagella quasi il massimo dei voti. Se c’è da scommettere su qualcuno, lei è il nome giusto: è una cantante, (contra)bassista e compositrice che sfiora i ventotto anni, ha vinto un Grammy Award come migliore emergente con il sinuoso Chamber music society (due titoli simili non a caso: avrebbero dovuto uscire contemporamente) e poi ha suonato nei meglio posti del mondo, i club più chic e i festival più di tendenza. E, se poi bisogna riassumerla in poche parole, eccole: una mescolanza di stili con una sensibilità fuori dal comune. Jazz. Classica. R&B. In fondo pop come si intende ora: un crossover appunto, qualcosa che demolisce e supera i generi musicali (anche radiofonici). Di Radio music society quasi tutti i brani potrebbero passare in modulazione di frequenza, e non solo gioiellini tipo Black gold, che lei canta con Algebra Blessett o la cover di I can’t help it, pezzo complicato di Stevie Wonder. Anche Endangered species, che ha la firma (anche) di Wayne Shorter e che il mostruoso sassofonista ha usato per aprire Atlantis dell’85, potrebbe passare in radio nella versione di Esperanza Spalding. Non a caso, lei garantisce di voler «modellare la carriera» sui binari di Ornette Coleman, e ci sta, ma pure di Madonna, e questa sì che è una sorpresa. «Ho iniziato a cantare, come tanti, sotto la doccia» spiega sempre con quella voglia di smitizzarsi che l’accompagna sempre, anche quando persino Obama l’ha riempita di complimenti. Forse tanta modestia dipende dalla famiglia mista, padre afroamericano e madre di origini spagnole e gallesi. O dalla vita in un ghetto marcio chiamato King quasi per ossimoro, periferia di Portland nell’Oregon più impastato di luoghi comuni. O magari della lunga, noiosa malattia che le ha spezzettato la scuola dell’obbligo. O più probabilmente da una voracità creativa che a cinque anni l’ha portata già a imparare come suonare il violino. Da autodidatta, per giunta. A quindici anni scriveva già i testi per i bulli della città, i Noise for Pretend, prima di iniziare a pensare di mollare tutto. «Macché, hai l’X Factor» le disse Pat Metheny, a sua volta assai dotato in materia. Dopo il Berklee College of Music (praticamente la Sorbona della musica, dove è diventata a vent’anni la più giovane insegnante della storia del college), Esperanza Spalding ha iniziato a pubblicare la musica che aveva dentro. Il disco Junio del 2006 convinse pochi. Esperanza del 2008 esaltò il New York Times per primo. Gli altri due album, compreso l’ultimo, hanno soddisfatto tutti gli altri, anche i critici più raffinati e i tifosi della musica più pecoreccia possibile.

Perciò Esperanza Spalding, una che come modelli ha Dave Holland o Ron Carter o Milton Nascimento mica Fergie dei Black Eyed Peas, è la scommessa giusta per chi vuole vincere facile senza giocarsi nient’altro che l’evidenza: lei ha una marcia in più.

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